venerdì 26 agosto 2016

*** EMILIA CLARKE: da Madre dei draghi a ragazza eccentrica in IO PRIMA DI TE. Una recensione del film ***

Se qualcuno ha ancora dei dubbi sulla bravura di Emlia Clarke, nota in tutto il mondo per la sua interpretazione di Daenarys Targaryen in Game of Thrones, potrà ricredersi con la visione di Io prima di te (regia di Thea Sharrock), nelle sale italiane dal 1 settembre.

Emilia Clarke nel ruolo di Daenerys Targaryen in Game of Thrones


Guardando il trailer del film, tratto dall'omonimo libro di Jojo Moyes, si potrebbe pensare di essere di fronte alla solita pellicola strappalacrime del ricco stronzo playboy sventurato che incontra la poveraccia di turno che, con la sua purezza, riuscirà a fargli dimenticare i tormenti della paraplegia dando un nuovo senso della vita in nome dell'amore. E tutti vissero felici e contenti...

Non è assolutamente così! Il ricco William Traynor (interpretato da Sam Clafin, di cui ricordiamo un ruolo in Hunger Games) non è, poi, così stronzo e così playboy. Non si tratta semplicemente di una persona che si piange addosso maledicendo le fortune altrui. La sofferenza di questo personaggio è molto più profonda: una buona dose di orgoglio porta lo spettatore a dargli ragione, anche se non ne approverebbe tutte le idee.

Tornando a Emilia Clarke, dimentichiamoci la fiera "Madre dei Draghi" decisa a riportare i Targaryen sul Trono di Spade! Louisa Clark (le coincidenze: i cognomi di attrice e personaggio sono omofoni!) è una semplice ragazza di provincia, una chiacchierona legata alla famiglia, che lavora per la sua famiglia, che non ha mai messo il naso fuori dal suo villaggio addormentato, a cui va bene questa vita perché una vita divesa non sarebbe neanche immaginabile. Una ragazza eccentrica (che fine ha fatto il portamento della regina Daenarys?!), che veste abiti e calzature stravaganti, per non parlare delle acconciature! Una donna, insomma, che se la incontri per strada, la eviti, se la conosci, non la molli più! Da sottolineare che, abbandonati i vestiti da regina, balza subito all'occhio la bassa statura della Clarke (soprattutto quando incontra Charles Dance: ebbene sì, ciò che non è accaduto in Game of Thrones, accade in Io prima di te, il vecchio Tywin Lannister incontra Daenarys, la regina giunge a Westeros prima della settima stagione!!!).

Emilia Clarke in una scena tratta da Io prima di te


Il film, lo si capisce bene già dal trailer, ha una trama prevedibile (non gridate allo spoiler se leggete che i due finireanno per piacersi l'un l'altra!), ma, come anticipato, vi sono degli elementi imprevisti: in fin dei conti, se tutto viene mostrato nel trailer, che senso avrebbe andare in sala?

Si trova, quindi, spazio per riflettere su tematiche come quella dell'eutanasia: accettare la paralisi con tutte le conseguenze che ne comporta o rinunciare a vivere? Interessanti sono le opinioni dei personaggi sull'argomento, e non sfugge il crocifisso appeso al collo della madre della protagonista quando esprime la sua opinione sull'argomento. Insomma, non ci vuole molto per passare dalla favola di Cenerentola ai toni tristi di Million Dollar Baby (di Clint Eastwood). Di certo, quest'ultimo film si pone a un livello completamente diverso: il paragone forse è azzardato, ma non si può non pensare a un colosso del cinema quando si trattono determinate tematiche.

Lo spettatore ha modo, dunque, di riflettere non tanto sulla tematica dell'amore e dell'arrivo dell'anima gemella, quanto, piuttosto, sui "limiti": da una parte c'è chi, da un momento all'altro nella propria vita, si vede imposti dei limiti; dall'altra c'è chi ha sempre avuto quei limiti e mai ha desiderato andare oltre. Chi ha corso a 300 km/h si ritrova a frenare di colpo e a tirare il freno a mano, chi non si è curato mai di andare più veloce deve ponderare se sia giunto il momento di spiccare il volo e abbandonare la propria casetta di provincia. Quanto possiamo e vogliamo correre nella nostra vita? Fin dove possiamo arrivare?

Il film è dunque fortemente consigliato, a patto che ci si porti dei fazzolettini in sala: a un certo punto sarà un collettivo tirare su col naso!!! Al di là della trama, sicuramente rimarrà impressa nella mente dello spettatore la miriade di espressioni facciali di Emilia Clarke, che non possono non far sorridere. Dal set di Game of Thrones a quello di Io prima di te, l'attrice britannica ha dato prova delle sue capacità: cavalcare un drago non è da tutti, indossare delle calze a strisce gialle e nere e diventare una sorta di ape umana è da eroi!


mercoledì 3 agosto 2016

*** RACCONTO N. 24: LA FINE ***



Racconto tratto dalla poesia "Giunto è già 'l corso della vita mia" di Michelangelo Buonarroti (Dipinto "Giudizio Universale", Cappella Sistina, Vaticano)


Posso percepire il tempo scorrere inesorabile e avverto che ormai la mia vita sta giungendo al termine della sua corsa: il filo della mia vita sta per essere spezzato ed io, dopo aver percorso il mio cammino, mi avvio verso la Morte che attende ogni mortale.

Come un marinaio, ho solcato molte acque: acque calme e pacifiche, limpide che splendevano alla luce del sole, ma anche acque torbide e burrascose, agitate da venti impetuosi che scuotevano la fragile barca sulla quale viaggiavo… eppure alla fine del mio viaggio ancora non so cosa troverò!
Ora che la meta è ormai vicina, non so a cosa sto andando incontro e sento che la mia imbarcazione, logorata dalle intemperie e dagli anni, sta per solcare mari coperti di fitta nebbia che nulla lascia trasparire e, trasportato da un’ineluttabile corrente, sto per approdare all’ignoto.

Corpo e anima stanno per abbandonare questa vita… eppure non la morte del corpo, misero, vecchio e caduco, è ciò che maggiormente tormenta la mia mente, quanto invece la sorte della mia triste anima!

Cosa succederà a questa infelice quando dovrà incontrare il giudizio divino e a Lui dovrò rendere conto di ogni mia azione malvagia o buona?

La mia vita è stata riempita dall’Arte, essa mi ha colmato di una grande gioia nel fiore dei miei anni, in essa proiettavo tutto me stesso, in ogni mia sensazione, soprattutto quando si trattava di estrarre l’opera dalla dura pietra.

L’Arte ha governato la mia vita, ne è diventata padrona, l’ho adorata e glorificata come una dea; eppure, al termine dei miei giorni, mi chiedo se questo atteggiamento non mi abbia danneggiato, se tutti quei dolci pensieri non fossero vani, nonostante il grande gaudio che essi infondevano dentro di me.

Purtroppo neanche l’Arte mi ha dato risposte, non ha diradato la foschia dell’incertezza verso la quale mi avvio. Sospinto dalla corrente, non posso far altro che procedere verso un fato incerto: niente mi ha potuto salvare  dall’atroce sofferenza del dubbio.


Alla fine, quindi, non mi resta che volgermi avanti verso questo mare di nebbia con la mia imbarcazione per abbracciare la fine, con tutte le paure e le conseguenze che ne possono derivare. L’unico pensiero che offre consolazione al mio animo tormentato è la misericordia divina per la quale Dio, con le braccia aperte sulla croce, abbracciò ognuno di noi, rimettendo i nostri peccati: a Lui affido il mio spirito e innalzo questa preghiera affinché possa concedermi la pace che duramente e instancabilmente ho ricercato per tutta la mia vita.

giovedì 21 luglio 2016

*** RACCONTO N. 23: ATTESA ***


Racconto tratto da "Attesa" di Vincenzo Cardarelli. Dipinto di Wilhelm Leibl ("In Attesa")

Me ne sto seduto al tavolino di questo piacevole locale. Non l’ho scelto a caso: è frequentato da gente tranquilla, non troppo ricca, che ama trascorrere un’oretta seduta a conversare, lasciandosi coccolare dall’odore dei croissant appena sfornati e dal penetrante ma gradevole aroma di caffè. C’è chi preferisce un tè, una cioccolata calda, un succo di frutta, del semplice latte (perché quello che ti viene servito qui in un’elegante tazza di porcellana non può avere lo stesso sapore di quello che bevi frettolosamente in un banale bicchiere di casa tua)…

C’è chi mangia una fetta di torta, chi dei biscotti… chi si confida al proprio amico, chi da solo legge un giornale recitando la parte dell’intellettuale di turno e poi ci sono io… Io che osservo tutti i clienti, impaziente di poter incominciare a parlare con qualcuno proprio come fanno loro. Spesso distolgo lo sguardo e lo rivolgo alla mia destra: un viale che dà sul mare. È una vista formidabile: uno dei motivi per cui ho scelto questo locale. La gente passeggia lungo il viale dalle lucide mattonelle bianche… vedo tranquillità intorno a me. Sì, qualcuno starà anche sfogando i suoi problemi ma c’è la percezione che, in questo posto, le preoccupazioni non potranno superare una determinata soglia. Sento (e lo sa anche tutta questa gente qua dentro) che non esiste alcun problema che non si possa risolvere. Oggi siamo in ansia, domani anche, ma dopodomani sarà acqua passata e si tornerà alla vita tranquilla di sempre.

E io attendo… al momento non ho nessuno con cui parlare se non il cameriere che, già due volte, mi ha chiesto se desiderassi ordinare. A volte mi sembra di parlare una lingua del tutto incomprensibile agli altri. Che cosa non è chiaro nelle parole “Sto aspettando una persona”? Giuro che se viene una terza volta mi metto a urlare, al diavolo questa atmosfera da “piccolo ritaglio di paradiso”! Se penso queste cose, probabilmente sono inadatto a questo posto! Però ho le mie ragioni: è quasi mezz’ora che aspetto e lei non arriva. Una voce continua a dirmi che non arriverà ma cerco di reprimerla subito. Ma, più passa il tempo, più questa voce si fa forte e pesante in tutta la sua veridicità. Al solo pensiero, sento lo stomaco contorcersi come se facesse spazio a una mano che da dentro cercasse di afferrarmi e tirarmi giù. Le guance mi si colorano di rosso e mi sento bruciare. La prospettiva della sconfitta fa male. E, a questa, si aggiunge anche la vergogna di essere l’unico in attesa di qualcuno che, a quanto pare, non arriverà.

Ogni tanto sento il peso di occhi estranei che mi osservano e si interrogano sulla mia solitudine.  Cerco di ricambiare lo sguardo e, subito, quegli occhi si posano su un altro obiettivo. Ogni tanto tossisco e sgranchisco la voce come se volessi riempire questo momento vuoto. È tutto inutile: non ha accettato il mio invito. La prospettiva della sconfitta fa male, la presa di coscienza è peggio. Avevo ideato il  mio programma, avevo progettato questo incontro e anche quelli successivi… ma le illusioni di un innamorato superano di gran lunga le fantasie di un bambino. Hai deciso di non venire all’appuntamento, hai deciso di non ricambiare o anche solo di dare un’opportunità al mio amore. Amore! Ieri ti benedivo, oggi ti maledico!

Sarà difficile alzarsi da questa sedia: le radici delle speranza e dell’umiliazione sono ben profonde.  Credo che mi concederò qualche minuto in più per capacitarmi e prendere coraggio. Un momento… sento qualcuno che si è appena fermato alla mia sinistra. «Desidera ordinare, signore?»

Non è lei… 

venerdì 8 luglio 2016

***RACCONTO N.22: LACERAZIONE ***



Racconto tratto da "Odi et amo" (Carme 85) di Catullo
Particolare de "La nascita di Venere" di Botticelli
Cos’è questa cosa che sento dentro me? È una sensazione nuova e non riesco a comprendere cosa sia: è come una bestia che ruggisce e cerca di demolire le pareti della mia interiorità… eppure, in alcuni momenti di quiete innaturale, questa bestia è ammansita e una strana dolcezza pervade la mia intera anima.
 E poi riprende, in maniera persino più violenta, se possibile!

Cosa sei, o bestia, che ruggisci senza tregua? Amore è forse il tuo nome?
Ah, quanto sei dolce e amaro, magnifico Paradosso!

Tu sei la fonte di questo strano dolore, ma anche della maggior parte delle mie gioie, ogni cosa che esiste di vitale dentro di me, esiste solo grazie a te, nonostante la profonda lacerazione che lasci all’interno del cuore umano: sì, perché questa lacerazione che è impressa profondamente nel cuore è dovuta al tuo legame con l’odio. Odio? Come è possibile che l’Amore sia paradossalmente legato a questo sentimento? Quante volte mi è stato chiesto … ma la risposta è sempre stata la stessa: non lo so! Eppure, questa fonte di dolore, che arreca sofferenza mi è indispensabile: la dolcezza che esso produce viene accentuata proprio perché è l’amore stesso che sana queste ferite!

Senza l’amore, io sarei solo un guscio senza anima!

Quante volte ti ho visto e quante volte il mio cuore ha gioito per te, per la vista del tuo dolce volto, per ogni tua attenzione, per ogni tua parola, per ogni volta che ridevi: ti adoro in ogni tua azione e questo fuoco che brucia dentro non fa altro che ravvivarsi, splende e cauterizza le ferite!
Ma quante volte ho anche visto cose che mi hanno provocato grande malessere, cose che hanno riaperto queste lacerazioni: ogni volta che eri con qualcun altro e gli mostravi attenzioni particolari, o quando mi ignoravi e mi condannavi ad essere esiliato dalla tua vita, allora, in quei momenti, io soffrivo terribilmente!

Questa spaccatura, questa dualità si forma dentro me, amore e odio sono indissolubilmente legati tra loro, la mia anima diventa un campo di battaglia dove la potenza dell’amore, con la sua dolcezza e la sua positività, si scontra con il potere distruttivo dell’odio, con la gelosia, la paura, il dolore e tutta la sua negatività!

Tutto questo avviene dentro di me, eppure il mio amore non smette mai di bruciare, questa bestia feroce che ruggisce e ferisce il mio cuore è implacabile, mai domata!
L’amore verso di te, nonostante tutto ciò che provoca il mio dolore, sarà eterno, come la poesia, la bella arte che ha celebrato attraverso ogni secolo le virtù dell’amore, ma anche le sue sofferenze.
Sono questa collisione e questa incapacità di poter dominare questa passione, questa brutale passione, che mi tormentano terribilmente.


Il dolore che causa questa profonda lacerazione, durerà a lungo, ma mai farà morire questa fiamma così viva e luminosa.

venerdì 1 luglio 2016

*** RACCONTO N. 21: IL VOLO DELL'ALBATROS ***




Racconto tratto dalla poesia "L'albatros" di Charles Baudelaire


È una razza particolare quella di noi poeti. Quando viene pronunciato il nome del nostro capostipite, Omero, un alone di leggenda sembra accompagnare quelle cinque lettere, le labbra si fanno tremanti e il volume della voce si abbassa leggermente quasi ad ossequio del sommo poeta. Tale fenomeno è apprezzabile anche per tanti altri… penso a Virgilio, a Dante, all’Ariosto e così via… Sono loro i sommi: poeti, filosofi e maestri, giocolieri delle parole e scrutatori della realtà. Sono loro i vati, cui va tutta la nostra gratitudine e riverenza.
Grazie agli insegnamenti di questi e tanti altri simili personaggi, abbiamo modo quotidianamente di studiare il mondo e rappresentarlo con le parole. Loro ci hanno insegnato a volare, a librarci da terra per osservare la realtà: da lì in alto, come degli albatros, vediamo tutto (o pensiamo di veder tutto!) e siamo in grado di affidare all’inchiostro le nostre sensazioni. Forse noi poeti moderni non ci illudiamo di avere chissà quale titolo, non ci illudiamo di esser ritenuti e definiti “maestri”, tuttavia non ci stanchiamo mai di volare.

Ancora, il nostro volo è capace di proiettarci ben oltre la realtà. La nostra mente è continuamente al lavoro. Siamo in una stanza, stiamo sorseggiando del tè con degli amici ma la nostra mente è già volata fuori dalla finestra attirata da questo o da quel particolare, da questa o quella parola. Così quella ceramica cinese della nobildonna che ci ospita genera mille pensieri sulla provenienza di quel vaso e la nostra mente è già in Cina e scorge attorno a sé soltanto occhi a mandorla. Un signore piange la prematura morte di suo figlio e, oltre a provare solidarietà e un gran desiderio di dargli conforto, non si può evitare di soffermarsi a riflettere sull’eterno alternarsi di vita e morte.

Osserviamo il mondo da una prospettiva privilegiata ma, spesso, questo privilegio costituisce una maledizione. Molti sembrano non riservare più il rispetto che ci compete, molti ci ridicolizzano, ci vedono come “diversi”. A volte abbiamo la gobba, seguiamo mode stravaganti nel vestire, beviamo solo latte o assumiamo sostanze dall’origine oscura. Questo ci rende “strani” agli occhi degli altri che proprio non riescono a capire la nostra sensibilità, la nostra costante osservazione e le supposizioni che ne derivano, le nostre abitudini che sono sinonimo della libertà di determinare la nostra vita alla ricerca di un piacere che altrimenti non troveremmo affatto. In fin dei conti, vogliamo essere felici come ogni uomo desidera su questo pianeta.


Non è, quindi, un caso che preferiamo farci da parte e librarci in un volo solitario che segue le vie della fantasia. Lì creiamo il nostro mondo, lì disegniamo milioni di mondi, incontriamo chi vogliamo, amiamo e siamo amati senza problemi. Gli altri sorridano pure di fronte alle nostre “stranezze”! Noi siamo albatros e dobbiamo necessariamente percorrere le nostre rotte aeree. Questa è, allo stesso tempo, la benedizione e la maledizione del poeta: straniero in patria e scarto della società, nonché viaggiatore libero di raggiungere qualsiasi mondo tra quelli possibili.

lunedì 20 giugno 2016

*** RACCONTO N. 20: TERRA MIA ***

Brano tratto da "A Zacinto" di Ugo Foscolo

Ricordo ancora in maniera vivida la mia patria: la mia terra natia, la mia dolce Zacinto!
E come potrei dimenticare una tale bellezza? Sarebbe un oltraggio dimenticarmene! Lei è sempre viva nella mia anima, il suo ricordo è sempre forte ed intenso.

Isola di sublime bellezza, tale da rivaleggiare con la stessa Venere, la dea che nacque dalle sacre acque che lambiscono le tue coste.
La terra della mia fanciullezza, periodo quieto e luminoso…

Eppure il tuo ricordo mi tormenta, o terra mia!

Ora che son lontano da te, affido la mia sofferenza a queste parole per celebrarti e ricordarti.
Quante lacrime dovrà ancora versare il mio cuore prima di poterti vedere? Quanta angoscia affronterò ancora da esule? Per dove e per quanto dovrò errare di luogo in luogo, alla ricerca dell’agognata quiete?

Ma ormai mi è chiaro: i tempi maledetti in cui mi trovo a vivere sono estremamente crudeli e la paura di non poterti rivedere mai più mi domina completamente come un lugubre spettro che incombe sulla mia anima.

Dovrò continuare ad errare e peregrinare per anni di posto in posto, per sempre separato da te, come un eroe degli antichi racconti… come nei racconti di Omero!

Lui che esaltò la tua bellezza, lui che cantò le tue terre fertili, lui che cantò la tua ricca vegetazione, lui che cantò il tuo terso aere, o mia terra natia!

Monet, Sunset at Pourville

Come vorrei essere simile al tuo Ulisse, maestro Omero! Come vorrei, esule, tornare a casa dopo dieci anni di lungo peregrinare per mare! Egli baciò la sua aspra terra, aspra, sì, ma pur sempre amata! Egli poté riabbracciare i suoi cari!

Io, invece, non sono destinato alla stessa sua fortuna, il mio destino è stato già scritto dai tempi malvagi e mai più giungerò a vederti.

Mentre gli dei sono stati benevoli con lui, il fato non lo sarà con me.

Non potrò baciare le tue sponde come Ulisse fece con Itaca!

Altro non ho da offrirti se non questi tristi versi con i quali ti consegno all’eternità della poesia.

Accetta il dono di questo povero uomo che può offrirti solo il suo canto… Un uomo destinato a non essere compianto dalla sua amata terra.

martedì 15 marzo 2016

Da Star Wars al Signore degli Anelli: la rivincita dei piccoli

«Da un grande potere derivano grandi responsabilità» diceva Ben Parker nel film Spiderman di Sam Raimi (2002). Lo sapeva bene Peter Parker che, in seguito al morso di un ragno alquanto speciale, si ritrova da un giorno all'altro ad arrampicarsi sui muri, a produrre ragnatele e a sviluppare i mitici "sensi di ragno"! Ma la storia del cinema e la signora Storia ci insegnano che non sono solo quelli dotati di grandi poteri a fare la differenza: a volte vi riescono anche i piccoli...

Ben Parker nel film di Sam Raimi


Basti pensare alla prima ed epica trilogia di Star Wars: l'episodio IV (Una nuova speranza) non si apre forse con i droidi C1-P8 e D-3BO in direzione del pianeta Tatooine per mandare un messaggio dell'Alleanza Ribelle al maestro jedi Obi-Wan Kenobi? È proprio la missione dei due droidi che si interseca con l'esistenza (fino ad allora) tranquilla di Luke Skywalker, futuro jedi che poterà i ribelli ad avere la meglio sul malvagio imperatore Palpatine.

I droidi C1-P8 e D-3BO


E a proposito dell'imperatore... nella trilogia lo vediamo mai in un trono che non sia la sedia di una nave galattica? Lo vediamo mai veramente governare da un trono di un palazzo, sito in un qualche suo quartier generale? Niente affatto... la narrazione segue le vicende dello jedi, della principessa Leila, di Ian Solo, Chewbecca e dei due droidi. All'inizio di ogni film si ha la sensazione che la ribellione è vicina all'essere soffocata. In poche parole la narrazione si focalizza sui piccoli, sul loro apparentemente minimo contributo alla Storia che, tuttavia, si rivelerà decisivo al punto tale da provocare conseguenze nelle politica stessa. Nel terzo episodio della trilogia (Episodio VI - Il ritorno dello jedi), i nostri eroi sarebbero periti se non fosse stato per i teneri e tenaci abitatori del pianeta Endor, gli Ewoks! E la scena finale, in cui si festeggia la fine dell'impero, è ambientata proprio sul pianeta degli Ewoks, lontano da palazzi e grandi piazze. Solo in una panoramica generale si intravedono folle in festa nei più disparati pianeti e si scorge una statua (probabilmente dell'imperatore) essere tirata giù. 

I bellissimi Ewoks!

Questa trilogia, insomma, parla del potere, parla della guerra, ma sembra essere lontana dai giochi di palazzo e dalle grandi sale del potere. Ci mostra come anche il più piccolo contributo può cambiare le sorti di un conflitto e ripristinare la pace!

Ne troviamo una conferma nella trilogia de Il Signore degli Anelli, ispirata ai romanzi di J.R.R. Tolkien. Può un hobbit, un tranquillo e pacifico essere che non supera i 120 cm di altezza, rivoluzionare il destino della Terra di Mezzo? Sì! Ne sono la prova Merry, Pipino, Sam e, soprattutto, Frodo, il portatore dell'Anello! Questi partono dalla lontana e, sembrerebbe, quasi ignota Contea per ritrovarsi in una missione più grande di loro: non mancano sofferenze e pericoli e, proprio quando tutto sembra precipitare, l'Anello viene distrutto da Frodo e Sam che scongiurano, così, il ritorno dell'oscuro signore Sauron. Non a caso, in chiusura del terzo episodio (Il Ritorno del Re), è proprio il re Aragorn insieme ai suoi sudditi ad inginocchiarsi agli hobbit!!! Tanto Tolkien quanto il regista Peter Jackson hanno avuto il merito di aver narrato la "rivincita dei piccoli"! Non sono solo i grandi a fare la storia: il coraggio, l'umiltà e la tenacia dei piccoli possono riuscire laddove una forza bruta o quintali d'oro hanno la peggio.

Aragorn e il suo popoli si inginocchiano agli hobbit

E forse anche noi, spesso pedine in una scacchiera di cui ignoriamo le dimensioni, non siamo degli hobbit? Sì, lo siamo... dovremmo, dunque, avere maggiore fiducia nelle nostre capacità: in noi giace probabilmente un'energia potenziale che aspetta soltanto di essere destata! Potremmo avere il potere di rovesciare imperi e forze oscure, forse basto solo volerlo...

lunedì 7 marzo 2016

*** Racconto n. 19: CHIACCHIERE IN METRO ***

Racconto tratto da "Sprecare la vita" di Charles Bukowski

La routine che ci rendi tutti schiavi di un meccanismo invisibile mi costringe quotidianamente a prendere la metropolitana per spostarmi da casa al luogo di lavoro e da qui tornare alla mia dimora. Dopo sei ore di stress, il colpo di grazia è dato da quei venti minuti… se sono fortunato trovo un posto a sedere, nella speranza che lo zaino di questo o di quello non urti il mio viso. Altrimenti divento uno dei tanti animali caricati per essere mandati al macello: l’uno ammassato all’altro, senza nessun pudore. E che dire di quell’inconfondibile odore della metropolitana? Che dire quando a questo si aggiunge la fragranza acida di qualche tizio che ha poca cura della propria igiene?



Passasse anche l’odore… la cosa peggiore sono le chiacchiere… la mattina la maggior parte mantiene il silenzio, rimpiangendo probabilmente il letto, maledicendo la mole di lavoro che l’attende… nel pomeriggio, invece, quando la stanchezza dovrebbe essere maggiore, sono tutti presi da un’insensata frenesia. E parlano, parlano, parlano… ci fosse un senso in quelle chiacchiere! Eccola, una giovane ragazza dai capelli biondi parla con la sua amica senza preoccuparsi del suo tono di voce e, quindi, di eventuali orecchie indiscrete come le mie: «No, vabbè! Ma non si rende conto! Gliel’ho detto, eh! Gli ho detto che può fare quello che vuole ma quando gli chiedo chi lo chiama o lo “whatsappa” devo saperlo! Non può farmi fessa! Si trovasse un’altra, io mi rifaccio la mia vita!» Quanti problemi questo cellulare! Eppure quella ragazza è così carina: possibile che il suo uomo le dia tanti problemi?

Una donna di mezza età, elegante nei modi e nell’abbigliamento, portando una mano tra i capelli indica il cellulare che regge con l’altra ad una donna che siede al suo fianco: «Guarda qua cosa ha avuto il coraggio di pubblicare questa!»
«Che ha scritto?»
«”Fatti i fatti tuoi che campi cent’anni"»
«No! … ma sicura che ce l’ha con te?»
«E con chi se no? Ma stavolta non mi trattengo… stavolta la distruggo… ora lo scrivo io, un bel post… sta a guardare…»

Ah… incommentabile… un giovane, invece, di non più di venticinque anni, ridacchia accompagnato da una graziosa amica. Il motivo del loro divertimento è che un tale di loro conoscenza ha trovato la compagna o moglie (non è dato saperlo) a letto con un altro uomo (sicuramente a loro noto). Cosa ci sarà mai da ridere? E non sapevo che anche gli uomini fossero così pettegoli…




O forse lo so, forse lo sono anch’io. Semplicemente, in questi momenti, non ho la forza di reggere i decibel delle vostre chiacchiere e dei vostri lamenti. Avete sempre problemi, sempre da compatirvi. Avete sempre da chiacchierare e sparlare. Prendete esempio da me, trattenete la vostra lingua e soprattutto i pensieri: vivrete più tranquilli e sereni.

lunedì 29 febbraio 2016

Il digitale ci rende dei perfetti sconosciuti

In questi giorni, andando al cinema, è possibile gustarsi il nuovo film di Paolo Genovese, Perfetti Sconosciuti. Si tratta di una pellicola molto gradevole e divertente, che racconta di sette amici che si ritrovano attorno a un tavolo per una delle loro tipiche cene. Sarebbe una cena come tante se non fosse per la proposta fatta da Eva, la padrona di casa, di rendere pubblico, per tutta la durata della cena, il contenuto di ogni messaggio e telefonata! Si può solo immaginare cosa questo gioco "non proprio innocente" possa comportare... 

Al di là dei tradimenti e dei diversi triangoli amorosi che vedono protagonisti i personaggi, questo titolo invita lo spettatore a un'importante riflessione: quanto dipendo dal mio cellulare? Quanto della mia esistenza è affidata a questo strumento? Fino a che punto può dirsi la "scatola nera" della mia vita? 


Siamo, probabilmente, invitati a ripensare il nostro rapporto con la tecnologia. La stessa scrittura che adoperiamo nelle chat e nei post dei social network (Umberto Eco diceva che «i social network danno diritto di parola a milioni di imbecilli»!), sebbene ci permetta di parlare al mondo senza limiti di distanze e di tempo, ci spersonalizza! La scrittura digitale con tutti i benefici che sembra comportare ci fa correre il rischio di dimenticarci del valore del dialogo vivo e reale (quello che si ascolta insomma!) e, soprattutto, di renderci schiavi dello smartphone!


Fa paura l'immagine del giovane Zuckerberg che, al Mobile World Congress 2016, cammina sorridente, non percepito da una folla immersa nella realtà virtuale della nuova tecnologia dei visori. Questa foto mostra un futuro che arriverà prima di quanto si possa immaginare portando con sé tanto benefici quanto problemi. Il rischio è proprio quello di dimenticarsi di esistere, di chiudersi in un mondo che di reale ha sempre meno, un mondo in cui il sentimento viene digitalizzato e dei circuiti custodiscono i nostri segreti... si finisce, così, che con la persona che fisicamente ci sta più accanto, siamo soltanto dei perfetti sconosciuti...

mercoledì 24 febbraio 2016

Un fiore petaloso...

La lingua italiana può arricchirsi di un nuovo termine, coniato da niente poco di meno che un bambino. Si tratta dell'aggettivo "petaloso", che significa "ricco di petali"! L'artefice è il piccolo Matteo, 8 anni, che frequenta la terza elementare in una scuola nella provincia di Ferrara. L'invenzione ha ricevuto il beneplacito dell'Accademia della Crusca: ciò non sarebbe stato possibile senza l'intuizione e il sostegno della sua maestra, Margherita Aurora. Compito dell'insegnante è, infatti, quello di educare secondo l'etimologia stessa del termine, dal latino "e ducere", cioé "far uscire fuori", aiutare a far emergere tutto ciò che l'anima e la testa dell'allievo può creare e formulare.

Risultati immagini per petaloso

Colpisce come un "semplice bambino" possa fare tanto, colpisce come un neologismo possa provenire da una mente apparentemente poco istruita. Ma, forse, tali scoperte potrebbero farle solo i bambini! Per inventare, creare, per scrivere storie e poesie bisogno essere come bambini, ragionare come loro, guardare con i loro occhi e, soprattutto, immaginare con la loro testa! Non a caso Schopenhauer diceva: «Ogni bambino che nasce è in qualche misura un genio, così come un genio resta in qualche modo un bambino».

Non ci resta, dunque, che sostenere questa "scoperta": la Crusca ha, infatti, affermato che, affinché il vocabolo venga accolto nei dizionari della lingua italiana, è necessario che entri nell'uso quotidiano. Non tiriamoci indietro, dunque! Accogliamo "petaloso" nel nostro parlato! Grazie Matteo :) #petaloso



La margherita è più petalosa del papavero





sabato 20 febbraio 2016

Arrivederci Eco!



Umberto Eco, il filosofo, il semiologo, il romanziere, ci ha lasciato! L'Italia perde un intellettuale di tutto rispetto: basti pensare ai numerosissimi articoli dedicati a questo triste evento dai diversi giornali del mondo.Quando un Paese è privato di una voce così autorevole, il giorno dopo si sente quasi mutilato. Possiamo solo sperare che la stagione degli intellettuali non venga mai meno, possiamo solo sperare d'incrociare sul nostro cammino tante e tante personalità simili.

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus

lunedì 15 febbraio 2016

*** RACCONTO N. 18: FRIENDZONE ***


Racconto tratto da "I ragazzi che si amano" di Jacques Prévert

Il sole è ormai calato, le luci dei lampioni si fanno sempre più intense ma la gente continua ad affollare gli Champs-Élysées. È un fiume di persone con molteplici direzioni: chi si avvia verso casa, chi sta per raggiungere un negozio, chi ha un appuntamento in qualche caffè, chi sta per attaccare un nuovo turno di lavoro. Io me ne sto tornando tranquillamente a casa, incurante della frenesia che si è impossessata di tutta questa gente: manca poco all’orario di cena ma non devo percorrere molta strada. Posso benissimo prendermela comoda e godermi le luci delle vetrine dei negozi. Con le mani nelle tasche dei miei jeans procedo ostentando una certa spavalderia…

È tutta scena! È tutta una finzione! Chiunque potrebbe leggere nel mio volto sicurezza e decisione, ma non sa cosa c’è dietro, non sa cosa c’è dentro di me. Covo rabbia e rancore e non mi va di darlo a vedere. Lo ritengo una debolezza, un mio fallimento, sono orgoglioso e non posso accettarlo. Ti starai chiedendo cosa mai mi sia capitato? Qualcuno lo riterrebbe una cosa normale, naturale e frequente e (ciò mi conforta un po’) con questo sono d’accordo, eppure non lo accetto, non su di me.

In poche parole sono stato rifiutato da una ragazza. Stai ridendo? Ringrazia che io non possa vederti! Non dirmi che a te non è mai successo, non ci crederei! Sono andato a colpo sicuro ma la mia cecità e la mia avventatezza mi sono costate care. Quando lei mi ha guardato con un imbarazzato sorriso sulle labbra e mi ha detto che, con me, non intendeva andare oltre, il mondo mi è caduto addosso. Lei era lusingata dai miei sentimenti e mi ringraziava di questo, tuttavia dovevo convincermi che tra me e lei non potesse esserci più di un rapporto di amicizia.

Dove ho sbagliato? Non ho usato le parole giuste nello svuotarmi di tutto ciò che avevo dentro? Ho accelerato troppo i tempi? Avrei dovuto farmi conoscere di più e meglio? Avrei dovuto aspettare qualche segnale più concreto da parte sua? I sentimenti rendono ciechi e impediscono di distinguere i segnali d’amicizia da quelli dell’amore. Ho interpretato male i comportamenti di lei e quelle che credevo essere attenzioni nei miei confronti: erano solo il suo modo di essere e ciò è, al tempo stesso, una benedizione e una maledizione per me. Non potevo non innamorarmi di una donna così profonda ma quella stessa sensibilità, che tanto mi ha colpito, mi ha reso soltanto cieco e incapace di capire che non potevo essere più di un amico per lei.

Ed eccoli lì, due ragazzi che si baciano incuranti di tutti noi che passiamo. Quanto vi invidio! Anzi, ad essere precisi, provo un odio viscerale nei vostri confronti! La vostra impudenza, la vostra sfacciataggine, il vostro menefreghismo e la vostra tranquillità mi irritano profondamente. Non vi conosco ma sarei quasi tentato di venirvi a dividere: so che ignorate i miei travagli ma mi state offendendo! State mancando di rispetto al mio dolore! Come è facile appoggiarsi a un muro e scambiarsi effusioni non curandosi affatto di quello che vi sta intorno, ah? Magari pensate di infondere in qualcuno un sentimento di tenerezza e ammirazione, vero? “Come sono innamorati quei ragazzi!” staranno pensando. E a voi questa cosa vi inorgoglisce, eh? Siete degli arroganti esibizionisti, ecco cosa siete! Vi ricorderete anche voi di qualche rifiuto ricevuto in passato o no? O l’avete sempre fatta franca in amore? Non posso crederci… Non voglio crederci!

So che non sto facendo un bell’effetto su di te, so che non è una belle figura e che sembro molto simile a un bambinetto frignone ma sarei bugiardo se non dicessi tutte queste cose. Qualcuno ha scritto una poesia dal titolo I ragazzi che si amano: se vi scattassi una foto, sareste azzeccati per rappresentare quella poesia così sdolcinata che fa trasformare in cuoricini gli occhi delle ragazze che se la vedono dedicata dai loro fidanzati. “I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno”… ah e si vede! Sono solo degli esibizionisti! Li odio tutti!!!!