Il racconto è tratto dalla poesia "La mia malinconia è tanta e tale" di Cecco Angiolieri: si tratta di un componimento di critica ai poeti contemporanei del Dolce Stil Novo (il dipinto è "Dante e Beatrice" di Henry Holiday)
Viviamo
ai tempi dell’amore, è il trionfo dell’amore! Non si sente parlar d’altro…
amore, amore, soltanto amore! Qua e là dei nuovi Catullo sono spuntati… la
Francia sembra non conoscer niente di diverso dalle imprese dei cavalieri o
dalle leggendarie vittorie alla giostra: il tutto per impressionare il cuore di
qualche nobile e graziosa dama. Sembra quasi che prima di questo secolo il
mondo non conoscesse né la donna né l’amore, dovevamo attendere questa epoca
per cantare l’amore. Se penso all’Italia, non posso non ricordare i due Guido e
c’è quel fiorentino, l’Alighieri, che non è da meno rispetto ai suoi
predecessori e sembra prometter bene.
Lo
confesserò, non so dove voglia arrivare: faccio fatica a comprenderlo e mi
spavento al solo immaginare cosa possa partorire la mente di quel guelfo. È
abile, questo devo riconoscerlo, ma l’amore che va cantando mi pare così
lontano dalla realtà! Eppure i suoi versi vedono, giorno dopo giorno,
allargarsi il proprio pubblico! Cosa dovrebbe fare un senese come me di fronte
al successo della poesia di questo ardito fiorentino? Dovrei, forse, anch’io
mettermi a piangere, strapparmi i capelli, gridare il mio dolore a tutto il
mondo? Dovrei, forse, render pubblica la mia sofferenza? Dovrei, forse,
dannarmi su questa terra, prima ancora di raggiungere l’Oltretomba, solo e
soltanto in nome della cortese poetica
dell’Amore?
No,
di lamentosi e visionari ce ne sono fin troppi in giro: se li tengano pure
Firenze, Bologna e la Sicilia tutta! Siena risponderà con un’altra poesia, una
poesia che faccia sorridere chi la ascolta o la legge e non cada in toni
visionari e insensati. Poi, quale sofferenza dovrei cantare? La tua amata non
ricambia il tuo sentimento? Dimenticala! Ne troverai un’altra, anche più bella!
Neanche questa sarà degna di te? Non crogiolarti! Ce ne sono altre dieci che
aspettano soltanto di conoscerti! Il verso sia motivo di gioia e non di
tristezza, la poesia sia un palliativo e non motivo di maggior dolore. E,
soprattutto, la poesia non sia espressione di ipocrisia e vaneggiamenti: oggi
la donna celebrata è una figura angelica, domani, una volta conquistata, sarà
una vecchia decrepita e sempre più difficile sarà conviverci!
Cecco
Angiolieri non canterà saluti negati e sogni fugaci, né angeli e madonne! La
sua poesia dovrà stimolare il riso, non si perderà nel vortice della
malinconia, non sarà vinta dagli strazi del mal d’amore, né fantasticherà su
melliflue donne angeliche. Mi vergognerei nel rappresentarmi come un amante non
corrisposto di cui avrebbero pietà anche i nemici. Arrossirei nel figurarmi
come un mendicante che va elemosinando il saluto di una donna o una semplice
parola, anche solo di odio e scherno. Non mi riconoscerei se piangessi per la
totale indifferenza della mia amata che fa fatica ad accorgersi della mia
stessa esistenza. Non sia mai che la mia poesia tratti tali cose! Lascerò ad
altri tali temi, io canterò qualcosa di più basso ma avrò la soddisfazione di
aver cantato il vero. Mi distinguerò dagli altri come un giullare che intrattiene
il pubblico tra un duello e un altro in un torneo cavalleresco. Sì, sarà così
ma la cosa non potrà che recarmi fama e prestigio e, un giorno, si ricorderanno
del senese Cecco Angiolieri come di colui che si distinse per aver allietato il
suo pubblico come pochi sapevano fare al suo tempo. E allora che Siena sia
felice grazie alla poesia del suo Cecco Angiolieri!