giovedì 30 luglio 2015

*** RACCONTO N. 11: NON CANTO L'AMORE ***




Il racconto è tratto dalla poesia "La mia malinconia è tanta e tale" di Cecco Angiolieri: si tratta di un componimento di critica ai poeti contemporanei del Dolce Stil Novo (il dipinto è "Dante e Beatrice" di Henry Holiday)

Viviamo ai tempi dell’amore, è il trionfo dell’amore! Non si sente parlar d’altro… amore, amore, soltanto amore! Qua e là dei nuovi Catullo sono spuntati… la Francia sembra non conoscer niente di diverso dalle imprese dei cavalieri o dalle leggendarie vittorie alla giostra: il tutto per impressionare il cuore di qualche nobile e graziosa dama. Sembra quasi che prima di questo secolo il mondo non conoscesse né la donna né l’amore, dovevamo attendere questa epoca per cantare l’amore. Se penso all’Italia, non posso non ricordare i due Guido e c’è quel fiorentino, l’Alighieri, che non è da meno rispetto ai suoi predecessori e sembra prometter bene.

Lo confesserò, non so dove voglia arrivare: faccio fatica a comprenderlo e mi spavento al solo immaginare cosa possa partorire la mente di quel guelfo. È abile, questo devo riconoscerlo, ma l’amore che va cantando mi pare così lontano dalla realtà! Eppure i suoi versi vedono, giorno dopo giorno, allargarsi il proprio pubblico! Cosa dovrebbe fare un senese come me di fronte al successo della poesia di questo ardito fiorentino? Dovrei, forse, anch’io mettermi a piangere, strapparmi i capelli, gridare il mio dolore a tutto il mondo? Dovrei, forse, render pubblica la mia sofferenza? Dovrei, forse, dannarmi su questa terra, prima ancora di raggiungere l’Oltretomba, solo e soltanto in nome della cortese poetica dell’Amore?

No, di lamentosi e visionari ce ne sono fin troppi in giro: se li tengano pure Firenze, Bologna e la Sicilia tutta! Siena risponderà con un’altra poesia, una poesia che faccia sorridere chi la ascolta o la legge e non cada in toni visionari e insensati. Poi, quale sofferenza dovrei cantare? La tua amata non ricambia il tuo sentimento? Dimenticala! Ne troverai un’altra, anche più bella! Neanche questa sarà degna di te? Non crogiolarti! Ce ne sono altre dieci che aspettano soltanto di conoscerti! Il verso sia motivo di gioia e non di tristezza, la poesia sia un palliativo e non motivo di maggior dolore. E, soprattutto, la poesia non sia espressione di ipocrisia e vaneggiamenti: oggi la donna celebrata è una figura angelica, domani, una volta conquistata, sarà una vecchia decrepita e sempre più difficile sarà conviverci!

Cecco Angiolieri non canterà saluti negati e sogni fugaci, né angeli e madonne! La sua poesia dovrà stimolare il riso, non si perderà nel vortice della malinconia, non sarà vinta dagli strazi del mal d’amore, né fantasticherà su melliflue donne angeliche. Mi vergognerei nel rappresentarmi come un amante non corrisposto di cui avrebbero pietà anche i nemici. Arrossirei nel figurarmi come un mendicante che va elemosinando il saluto di una donna o una semplice parola, anche solo di odio e scherno. Non mi riconoscerei se piangessi per la totale indifferenza della mia amata che fa fatica ad accorgersi della mia stessa esistenza. Non sia mai che la mia poesia tratti tali cose! Lascerò ad altri tali temi, io canterò qualcosa di più basso ma avrò la soddisfazione di aver cantato il vero. Mi distinguerò dagli altri come un giullare che intrattiene il pubblico tra un duello e un altro in un torneo cavalleresco. Sì, sarà così ma la cosa non potrà che recarmi fama e prestigio e, un giorno, si ricorderanno del senese Cecco Angiolieri come di colui che si distinse per aver allietato il suo pubblico come pochi sapevano fare al suo tempo. E allora che Siena sia felice grazie alla poesia del suo Cecco Angiolieri!



mercoledì 29 luglio 2015

Anticipazioni racconto n. 11

Il racconto di questa settimana è tratto da "La mia malinconia è tanta e tale" di Cecco Angiolieri. Si tratta di una poesia satirica che rinnega tutta la produzione impegnata dei suoi contemporanei (Cavalcanti, Guinizzelli, Alighieri, Petrarca, ecc.). Il titolo del racconto sarà "Non canto l'amore". A domani!


La mia malinconia è tanta e tale

La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.

Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale;
che mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir ’n un punto di tutto ’l mie male,
sed ella pur: – I’ t’odio – mi dicesse.

Ma quest’è la risposta c’ho da lei:
ched ella non mi vol né mal né bene,
e ched i’ vad’a far li fatti mei;

ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,
men ch’una paglia che le va tra’ piei:
mal grado n’abbi Amor, ch’a le’ mi diène.

giovedì 23 luglio 2015

*** Racconto n. 10: IO E DIO ***


Tratto da "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono"  di Francesco Petrarca (Dipinto: "Donna al tramonto del sole" di Caspar David Friedrich)


Credo di non essere l’unico in questo mondo ad esser caduto nella trappola d’amore. Giorni e notti trascorsi a inseguire una figura che continuava a fuggire come nella realtà. È stato un continuo fantasticare, un continuo tendere a qualcosa di irraggiungibile e, quanto più cercavo di avvicinarmi, tanto più perdevo me stesso, sia come persona sia come poeta. Laura continua a correre libera e leggera come una Ninfa, ma io non intendo continuare a soffrire per lei.

Le molteplici speranze che quotidianamente mi allietavano si sono rivelate completamente inutili, pura illusione. Le molteplici sofferenze che credevo sarebbero cessate prima o poi e che speravo fossero preparazione a una gioia inimmaginabile, anch’esse non hanno portato a nulla. È stato un sogno, solo un sogno ingannevole, un sogno distruttivo. Ora mi ritrovo, così, a guardare indietro, a quegli errori giovanili, di cui provo una grande vergogna. Probabilmente sono stato oggetto di scherno e di riso di molti, ma come biasimarli? Mi sembra, al momento, di aver quasi perso tempo, di aver gettato all’aria anni che avrebbero potuto avere gioie ben diverse.

So che qualcuno riesce a comprendere il mio stato, so di non essere l’unico ad aver avuto questa triste esperienza. Non c’è cosa peggiore che darsi un obiettivo, perseguirlo costantemente e non riuscire a raggiungerlo. Sapete bene come ci si sente quando si prende consapevolezza di aver inseguito non tanto un ideale, quanto un vero e proprio fantasma. Illusioni quotidiane, immagini fantasiose, scene partorite dalla mente mi hanno accompagnato per molto, troppo tempo. Tutto questo mi ha fatto perdere me stesso…
Non ho potuto, infatti, evitare di dare voce alla mia penna per sfogare tutto ciò che aveva invaso il mio cuore. Ora mi ritrovo davanti a delle carte che sembrano essere state scritte da un pazzo. Un uomo che aveva perso la sua bussola e camminava come un vagabondo. Che vergogna! Chiedo scusa in anticipo a quanti  leggeranno quelle rime e rideranno di me. Ho recato oltraggio alle parole sottomettendole ai miei desideri e alla mia perdizione.

Ma, soprattutto, ho offeso Dio… inseguendo quell’immagine terrena, ho fatto di lei il mio bene più grande e ho teso tutti i miei sforzi al fine di raggiungerla. Non c’era nient’altro, non c’era niente di più importante. Mi sono dimenticato di te, Dio. Invano ho pensato di porti sullo stesso piano di Laura e solo ora capisco che, tra i due, solo Tu mi sei rimasto. Me ne fossi accorto prima! Invece ho continuato a perseguire un piacere tutto terreno, tutto materiale, che era solo sorrisi, abbracci, baci, parole suadenti, corpi… il piacere voluttuoso è stato il mio unico interesse che mi ha persuaso e ammaliato portandomi ben lontano dal Vero Bene… sono stato legato e trattenuto dalle catene dell’amore umano e, solo dopo tanto tempo, quando non ho riconosciuto più me stesso, quando ho capito di esser diventato niente di tanto diverso da una serpe strisciante, ho compreso l’entità dell’errore giovanile.


Continuerò a pentirmi, a vergognarmi e a tormentarmi per tutto ciò ma saprò di poter tendere a qualcosa di più grande, di sublime…

mercoledì 22 luglio 2015

Anticipazioni racconto n. 10

Siamo al terzo e ultimo capitolo della trilogia dedicata a Francesco Petrarca. Dopo "Solo et pensoso" e "Pace non trovo e non ho da far guerra", è la volta di "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" e il racconto si intitolerà "Io e Dio". A domani!

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango e ragiono
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

giovedì 16 luglio 2015

*** RACCONTO N. 9: IO ED EROS ***

Tratto da "Pace non trovo e non ho da far guerra" di Francesco Petrarca (la scultura nell'immagine sottostante è "Eros che incorda l'arco", copia romana conservata nei Musei Capitolini di un originale greco di Lisippo)

Quando gli antichi parlavano del dio Eros che svolazzava di qua e di là alla ricerca di bersagli per il suo arco non erano tanto lontani dalla realtà. In maniera del tutto imprevista, a seconda di quale sia la volontà del dio (ammesso che si possa parlare di un dio), ti ritrovi con una freccia nel cuore… qualora questa freccia fosse vera, potremmo solo immaginare il dolore che causerebbe. Eppure, nonostante io non possa toccarla e afferrarla, sento comunque la sua punta aguzza che fa male, molto male…

Ma perché, se mi trovo a soffrire così, non riesco a prendermela con chi rappresenta la causa del mio dolore? Semplicemente perché sono innamorato di quella persona. Sento di essere in guerra ma non so contro chi o cosa sto combattendo. Sento di essere in guerra ma non ho le armi o i mezzi per affrontarla. Questo è l’amore… soffrire e sorridere, sperare e sprofondare… ora questo pensiero mi dà sollievo, ora quest’altro mi rattrista… ora la delusione mi trascina verso il baratro, ora l’immaginazione mi eleva fino alle stelle…

È il controsenso dell’amore: la gioia e il dolore hanno pari peso sui piatti della bilancia. In certi momenti vorrei annullarmi, addormentarmi e dimenticare tutta questa mole di sentimenti contrastanti. Poi mi faccio forza, quasi sicuro di poter riuscire nel mio intento. A volte voglio liberarmi da questi vincoli e riprendere la vita di sempre ma, se mi fermo a pensare, mi rendo conto che senza quei vincoli starei peggio di ora. Aborrisco la vita ma non riesco a inseguire la morte.



Pare che lo stesso Eros si diverta a torturarmi: è una continua tortura che non conosce fine. Un po’ come Prometeo incatenato alla rupe e costretto al quotidiano attacco dell’aquila che non cessa mai di cibarsi del suo fegato che ricresce di notte. La mia condizione non è tanto dissimile. Di giorno soffro e sono lacerato dal desiderio, di notte i sogni mi allietano e mi danno piacere. Capisco, quindi, cosa intendesse veramente il veronese Catullo quando diceva «Odi et amo»! Neanche lui sapeva come questo potesse accadere ma, continuando ad amare la sua Lesbia, se ne struggeva arrivando fin quasi ad odiarla.


Parlare di odio sarebbe troppo, mia Laura. Eppure, se proprio il mio desiderio non è destinato ad esser soddisfatto, preferirei esser dimenticato da Eros, dimenticare te e riappropriarmi della mia vita. Uscirei, così, da questa ambiguità, da questa doppia esistenza che mi eleva e mi abbassa al tempo stesso ai sentimenti più puri e alle sofferenze più grandi. Ma Eros è un dio testardo e ancora non vuole saperne di lasciarmi andare. Continuerò, dunque, a dannarmi per te con la speranza che il dio voglia (al più presto) porre fine a questa cosa legandoci l’uno all’altra.

mercoledì 15 luglio 2015

Anticipazioni racconto n. 9

Il prossimo racconto, nonché secondo della trilogia dedicata a Francesco Petrarca, è tratto dalla poesia "Pace non trovo e non ho da far guerra" e sarà intitolato "Io ed Eros". A domani!



Eros, particolare de "La primavera" di Botticelli



Pace non trovo e non ho da far guerra

Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.

Tal m'ha in pregion, che non m'apre nè sera,
nè per suo mi riten nè scioglie il laccio;
e non m'ancide Amore, e non mi sferra,
nè mi vuol vivo, nè mi trae d'impaccio.

Veggio senz'occhi, e non ho lingua, e grido;
e bramo di perire, e chieggio aita;
e ho in odio me stesso, e amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita:
in questo stato son, donna, per voi.

giovedì 9 luglio 2015

*** RACCONTO N. 8: SOLITUDINE ***


Il primo racconto della trilogia dedicata a Francesco Petrarca è tratto da "Solo et pensoso" (dipinto "Ragazza in un bosco" di Vincent Van Gogh)

Non è la prima volta che mi ritrovo a passeggiare, o meglio vagare, per questi campi. A volte la solitudine si rivela necessaria: troppa stanchezza, troppa sofferenza mi causano gli altri. Si è sempre costretti a sorridere, a dire questa o quella parola di gentilezza, ad osservare regole e rituali e a dar conto a chi non si vorrebbe nemmeno aver incontrato sulla propria strada. La finzione regola la nostra vita: non so quante volte in questa giornata ho affermato di stare bene mentendo spudoratamente. Non vogliatemene, ma cosa mai potrei condividere con tutti voi? Io ritengo che nessuno di voi mi possa esser d’aiuto. Nessuno di voi sa ascoltarmi come questi alberi, queste spighe, queste tranquille acque.

In mezzo a questo paesaggio io ritrovo me stesso: ho modo di parlarmi, di ascoltarmi, a volte anche di consigliarmi. Qui non c’è nessuno al di fuori di me e la mia anima. Qui il tempo è pesante ma passa veloce: ogni attimo rimanda a ricordi lunghi quanto giorni ma non faccio in tempo a riprenderli e dominarli tutti che già scorgo il sole calare al di là dei monti e sono costretto a tornare indietro alla vita e al mondo di sempre.

Così sono costretto a ricorrere spesso a questa medicina: ormai ne sono dipendente. Mi convinco giorno dopo giorno che il mio male sia incurabile e posso solo allievare il dolore venendo qui e perdendomi tra i meandri della mia anima. Curiosa la vita! Questa quercia che si erge imponente alla mia destra mi conosce meglio di chi quotidianamente mi parla e finge di preoccuparsi per me. Questa quercia ha saggiato il sale delle mie lacrime e non ho potuto che elevarla al grado di mia migliore confidente!

Potessi portarti qui, Laura! Potessimo insieme condividere e godere di questo silenzio! Allora l’aria sarebbe riempita soltanto dalle nostre parole amorose, dalle mie rime e dalle tue dolci risate. Ogni tanto ci farebbe visita il vento che con la sua voce loderà le tue chiome ed io non perderei occasione per vantarmi di te di fronte a lui. Poi ci stenderemmo alla fresca ombra della mia amica quercia e anche tu imparerai a conoscerla come me e più conoscerai lei, più conoscerai me. Ma, soprattutto, io avrei modo di vivere te e di morire nel rosso vivo delle tue gote. Questa sarebbe la sola morte che desidero!


Qui solo riesco a chiudermi nel mio dolore, qui solo riesco a desiderarti veramente, Laura. Qui ti rivedo nei nostri fugaci incontri, qui rivivo il passato, qui invento il futuro. E allora mi accorgo che in fin dei conti non sono così solo… non sono solo io a camminare lungo questi campi, non sono solo quando mi appoggio a questo tronco… c’è Lui, Amore, a seguirmi e ad attaccar discorso. Lui è al mio fianco persino prima di giungere qui, mi segue già da quando affiora in me il desiderio di evadere e raggiungere questa immensità. Anzi, a dirla tutta, è Lui che mi invita a fuggire. È Lui che quotidianamente mi ordina di perdermi per cercare di ritrovare me stesso. Amore, ormai, condiziona tutta la mia esistenza. Ormai è l’incarnazione del Tempo stesso. Scandisce ogni singolo attimo della mia vita ed è mio alimento e mia maledizione: senza di Lui sicuramente morirei perché è il mio unico amico ma, continuando ad accompagnami, continua il mio travaglio. A questo solo tu potresti porre rimedio, o Laura!

mercoledì 8 luglio 2015

Anticipazioni racconto n. 8

I prossimi tre racconti saranno una vera e propria trilogia che avrà per protagonista Francesco Petrarca. Il racconto di domani sarà tratto da Solo et pensoso.



Il testo della poesia:

Solo et pensoso i piú deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

5Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
10et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co’llui.

giovedì 2 luglio 2015

*** Racconto n. 7: IL BACIO ***


Tratto da I ragazzi che si amano di Jacques Prévert (nell'immagine Amore e Psiche di Antonio Canova)

È avvenuto con molta naturalezza. Stavamo passeggiando e stavamo parlando dell’ultimo film di Woody Allen. Lei ne era entusiasta proprio come me e non ho potuto fare a meno di recitare una battuta del film. Sì, confesso di essermela preparata prima di uscire: mi è bastato un attimo per cercarla in rete e fissarla per bene. Poi la spavalderia dell’innamorato ha fatto tutto il resto! E lei ha riso… credo che se Woody Allen vincesse l’Oscar per quel film, non proverebbe la stessa gioia che io ho provato in quel momento. Non ho potuto far altro che ripetere quella battuta, sottolineando le parole più importanti e cercando di modificare la mia voce rendendola grottesca il più possibile.

Ci siamo fermati perché lei non riusciva più a contenere le risate. Io ho finto di guardarmi intorno imbarazzato per gli occhi indiscreti dei passanti. Non me ne importava minimamente ma volevo che ridesse ancora di più. «Non fateci caso! Non è normale!» cercavo di dire e le sue guance si sono ancor di più tinte di rosso. Era consapevole di essere al centro dell’attenzione ma era divertita da quell’imbarazzo. Continuavo a fingere  di parlare ai passanti e lei mi diceva di stare zitto ma sapevo che, dentro di sé, desiderava che io continuassi.

Era la prima volta che mi capitava e, come ho detto all’inizio, è avvenuto con molta naturalezza. Come facevo ad esserne così sicuro? Non lo so. Se dovessi spiegarlo non ci riuscirei perché ti accorgi della cosa solamente quando la vivi. Forse, in quel momento, i corpi di due innamorati comunicano tra loro e si dicono di volersi incontrare. Forse questa comunicazione avviene attraverso gli occhi… probabile… Mentre continuava a ridacchiare, io ho cambiato espressione e ho smesso di fare il pagliaccio. Serio, mi sono fermato a guardarla e contemplarla: in quei secondi ho visto e desiderato più di quanto avessi fatto nei giorni passati.

Lei ha percepito il mio silenzio e la mia serietà, ha capito che non si poteva più scherzare ma era tempo di fare sul serio. Ha ricambiato lo sguardo  accettando la mia silenziosa richiesta. Ho fatto un passo in avanti, lei indietro: no, non aveva paura ma cercava di prolungare ancora di più quel momento che ci vedeva sognare entrambi. Anche se lo avessi voluto, la mia mente non sarebbe stata capace di pensare a qualcosa di brutto. Era completamente impossibile perché era tutta presa da quel fantastico sogno.

E anche per lei era la stessa cosa… potevo capirlo da quel sorriso commosso che mi rivolgeva. È stupefacente come fino a poco prima stesse ridendo per una stupidaggine e, subito dopo, stesse quasi piangendo per la gioia. Continuava a indietreggiare perché più ritardavamo più avremmo vissuto con maggiore intensità il nostro incontro. Alla fine un muro si è opposto alla sua sensuale fuga: non poteva più scappare ma la cosa non le dispiaceva, anzi…

Ho cinto le mie mani sulla sua schiena e l’ho baciata. Riuscire a descrivere quello che ho provato mi risulta quasi impossibile, né saprei dire per quanto tempo rimanemmo stretti l’uno all’altra… posso dire una cosa però: in quegli istanti, per me (e credo e spero anche per lei), non c’era altro. Non ho percepito altro se non il calore del suo corpo, il profumo della sua pelle, la fragranza dei suoi capelli, il battito del suo cuore… non ho percepito altro se non il suo amore… in quel momento ho dimenticato il luogo in cui ci trovavamo, né mi sono preoccupato di quanti continuavano a passare per quel viale. Molti ci avranno ignorati, probabilmente abituati a questi “spettacoli”, altri ci avranno guardato con invidia, consapevoli della propria solitudine (se solo avessero saputo che, fino a qualche tempo fa, anch’io versavo nella loro stessa condizione!), altri avranno sorriso, memori delle medesime esperienze che essi hanno vissuto e continuano a vivere quotidianamente, altri (forse i più vecchi) ci avranno indicato con stupore, si saranno guardati con complicità e avranno commentato la decadenza dei costumi che affligge il nostro tempo.


Che abbiano commentato! La cosa non può interessarmi più di tanto. So, infatti, che se fosse scoppiata una bomba là vicino, noi avremmo continuato a baciarci perché i ragazzi che si amano non ci sono per nessuno…


(Foto tratta dal film Spider-Man, 2002)

mercoledì 1 luglio 2015

Anticipazioni racconto n. 7

Dopo il "bacio" tra Venere e Giove della scorsa notte, la poesia che ispirerà il prossimo racconto non potrà che essere "I ragazzi che si amano" di Jacques Prevert!



Di seguito il testo della poesia:

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è la loro ombra soltanto
Che trema nella notte
Stimolando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo le risa la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Essi sono altrove molto più lontano della notte
Molto più in alto del giorno
Nell'abbagliante splendore del loro primo amore


(Foto tratta dal film Spider-man, 2002)

Appuntamento a domani per il racconto :)