giovedì 25 giugno 2015

*** RACCONTO N. 6: OSCURITA' ***


Tratto dalla poesia "Alla sera" di Ugo Foscolo (Dipinto "Notte stellata" di Vincent Van Gogh)

Un’altra giornata si è conclusa e io mi faccio accarezzare dall’oscurità. Mi sembra quasi di vedere le sue lunghe e nere mani che si posano sulle mie spalle e, come un bambino, mi faccio accompagnare… verrà il giorno in cui intraprenderò veramente un viaggio da cui non tornerò mai più e, man mano che i giorni si susseguono, la speranza di poterlo fare diviene sempre più viva nel mio cuore. E ciò mi allieta… è la mia unica consolazione tra mille tristi pensieri…

Può esserci la pioggia, può esserci il vento, persino la neve ma io non smetterò mai di lasciare la mia casa per vedere il sole cadere dietro le montagne lontane. Il sole si abbassa e la mia anima si risolleva perché so che il giorno della mia morte, il giorno del Nulla eterno, si fa sempre più vicino. Non faccio fatica a nascondere questo mio desiderio: desidero, senza ombra di dubbio, morire. Ecco perché, ogni qual volta sopraggiunge la sera, io sento qualcosa muoversi nel mio stomaco, poi percepisco il cuore battere sempre più forte, le guance si accendono, le gambe cominciano a tremare. Se si leva una brezza, sento caldo e freddo allo stesso tempo… forse la morte non è tanto diversa da ciò che provo io in quei momenti!

Quando vedo la luce solare scemare sempre più, tutta la rabbia, tutto il dolore, tutta la sofferenza vengono meno. È il momento in cui riesco a rilassarmi veramente: è il presagio di un sonno molto più lungo e profondo. È il momento in cui il mio volto riesce finalmente ad abbozzare un sorriso, sicuro dell’inesorabile e quanto mai prolifico scorrere del tempo. Così spalanco le mani, lascio che la frescura mi investa, sperando quasi che mi trascini con sé. Resto in quella posizione per diversi minuti apprezzando il susseguirsi dei secondi… a occhi chiusi li conto e, in quel silenzio, riesco a godere dei ritagli di quell’infinito che vado agognando. È un rituale quotidiano che merita una costante dose di cura e meditazione.

Desidero morire: questo me lo ripeto sempre. A che pro, infatti, continuare a vivere? A cosa o a chi potrebbe giovare l’esistenza del triste Ugo? In molti ci siamo illusi di veder cambiare le cose… pura illusione! Una grande delusione… quando era concreta la prospettiva di poter essere finalmente liberi, il sogno è svanito, spazzato via dalle salate onde della politica e della diplomazia. Per un attimo abbiamo gustato il sapore di un piatto prelibato. È stato solo un attimo… immediatamente quel piatto ci è stato tolto e ci è stata offerta la solita immangiabile zuppa che, chiudendo gli occhi e tappandoci il naso, abbiamo ingoiato…

Il sogno dell’Italia agli italiani ha alimentato in noi vane speranze… ci ritroviamo nella medesima situazione di prima (prima, cioè, dell’arrivo di Napoleone) con la beffa di aver sognato a occhi aperti… ma, a tenere sempre aperti gli occhi, ci si stanca… e, infatti, le palpebre si sono chiuse, poi riaperte e, inesorabilmente, è svanito tutto ciò che vedevamo. Allora, perché non dovrei invocare la morte? Perché non dovrei desiderare di morire? Non posso far altro che adorare la sera e applaudire alla sua venuta. Se c’è una certezza che non cadrà mai è il tuo arrivo quotidiano, o Sera! E, più volte tu giungi, più si avvicina la “vera sera”, più io mi consolo…

Non posso desiderare altro… solo morire… e, forse, avrò più giovamento dal morire lontano dall’Italia tradita dai potenti…

mercoledì 24 giugno 2015

Anticipazioni racconto n. 6

Chi ha detto che l'oscurità è solo un'immagine negativa che incute solo timore? Per qualcuno l'oscurità può diventare un rifugio in cui ritrovare la tranquillità con la compagnia dei propri pensieri e desideri. Ne leggeremo un esempio domani con il racconto tratto dal sonetto "Alla sera" di Ugo Foscolo!



giovedì 18 giugno 2015

*** RACCONTO N. 5: POLITICA ***


Tratto dal Corpus di Teognide (vv. 213-218), poeta greco del VI a.C.


Saremo dei cannibali! Sì, proprio cannibali! Come quegli strani popoli che ogni tanto possiamo scoprire in qualche lontano viaggio o di cui parlano le antiche leggende dei nostri padri. Uomini che, per bisogno o per piacere (non voglio saperlo!), non hanno alcun problema nel cibarsi della carne dei loro simili. Inorridisco al solo pensiero! Eppure, se vogliamo avere un roseo futuro a Megara, faremmo meglio a essere cannibali!

In che senso? A Megara come, mi convinco sempre più, in qualsiasi polis, il potere e il successo politico derivano dall’essere dei polipi! Sì, dobbiamo diventare polipi: quei magnifici esseri del mare i cui tentacoli rendono ancor più invidiabili i tavoli dei nobili. E, quindi, volendo aver successo, dovremo mangiare i nostri stessi simili! Ma, a Megara, o fai così o sprofondi. Oggi sei il più acclamato, domani, la mancanza di astuzia, ti condanna all’oblio. Questo vale per chi è riuscito ad emergere. Ma pensiamo a quanti, pur di nobili natali, si affacciano alla politica per la prima volta: l’incapacità e la mancanza di furbizia non permetteranno loro di andare lontano.

Bisogna, dunque, essere astuti come i polipi: la versatilità e il mascherare devono essere le parole d’ordine di chiunque voglia essere davvero “qualcuno” in questa città. È necessario ascoltare questa e quell’altra fazione, non solo la propria. È necessario mostrarsi compiacente anche con i peggiori avversari: un sorriso, una pacca sulla spalla, una parola di rassicurazione fanno molto. Perseguire in maniera ostinata i propri principi è controproducente: non si può evitare di fare promesse a quelli della fazione opposta e accontentarli con questo o quell’altro favore.

Ma cosa hai fatto? Per tenerti buono il nemico, hai promesso in moglie tua figlia a suo figlio? Scaltrezza e macchinazioni ti permetteranno di non affondare: fatti amici gli avversari più moderati e cerca di insabbiare quell’accordo screditando il tuo nemico oppure garantiscigli qualcosa di equivalente a ciò che gli avevi promesso. La giusta dose di furbizia ti guiderà in ogni tua singola scelta. Fa’ attenzione a non allontanare e osteggiare troppo i tuoi avversari: questo è importantissimo! Un domani, infatti, potrai averne bisogno e, in quel momento, benedirai gli dei per aver messo da parte l’intransigenza verso di loro.

Gli stessi amici possono rivelarsi pericolosi, né il rapporto che si ha con uno è uguale a quello che si ha con un altro. Pertanto, anche con loro, soprattutto con loro, bisognerà calibrare bene il proprio comportamento. I tentacoli del polipo sono molti e lunghi: oggi accarezzi questo, domani quello, dopodomani entrambi! Bisogna andare oltre la natura granitica del proprio carattere e saperlo, quindi, adattare alle varie esigenze e nelle varie occasioni. Cosa? Non riesci proprio a sopportare questo tuo amico così pedante, tedioso e logorroico? Poco importa, avrai bisogno anche di lui per realizzare i tuoi progetti e, quindi, dovrai sopportarlo e, bada bene, soprattutto con il sorriso! Quell’altro amico sembra non poter fare nulla senza che tu lo assista? Continua ad aiutarlo e mostrati sempre disponibile facendo quasi dell’aiuto all’altro la tua ragione di vita!


Per governare questa città,  anche solo per sopravviverci e non essere infilzato dalle sue lame, c’è poco da fare: bisogna essere duttili, versatili, scaltri, astuti e furbi come polipi!


mercoledì 17 giugno 2015

Anticipazioni Racconto n. 5

La poesia da cui è tratto il racconto di questa settimana ci porta molto indietro nel tempo. Per la precisione al VI secolo a.C.. Siamo nell'antica Grecia e il poeta in questione è Teognide, originario di Megara Nisea (città posta tra Atene e Corinto). Dei suoi componimenti sono stati presi in considerazione dei versi (Corpus Theognideum vv. 231-218) che hanno per protagonista la figura del politico: quest'ultimo deve essere come un polipo (per i Greci animale dotato di astuzia e intelligenza), capace di adattarsi a tutte le situazioni.
Di seguito vengono riportati i versi da cui sarà tratto il racconto:

Rivolgi a tutti gli amici, o cuore, un animo duttile,
adeguando il tuo cuore a quello di ognuno.
Assumi la natura del polipo dalle molte pieghe,
che sembra a vedersi simile alla pietra a cui aderisce.
Una volta, così assentisci; un'altra, divieni diverso di pelle:
l'abilità vale più dell'intransigenza.
(Trad. F. Sisti)



giovedì 11 giugno 2015

***RACCONTO N. 4: RINASCITA***


Tratto da "Mattina" di Giuseppe Ungaretti


Un’altra giornata sta per iniziare, un’altra notte è passata. Ogni volta che apro gli occhi e scorgo la luce filtrare nella mia stanza, una gioia mi prende il cuore: sono consapevole di essere sul punto di intraprendere un nuovo inizio. Dopo l’oscurità della notte c’è la luce del giorno, dopo il sonno l’azione, dopo la morte la vita! Persino il mio corpo se ne rallegra: rinvigorito nelle sue forze, potrà attivarsi e muoversi. Potrà correre, saltare, danzare perché tutto si può fare alla luce del sole! Mi sveglio, dunque, con una grande carica, sicuro di poter godere ancora di un altro giorno nella mia vita.

E questa è una vera e propria benedizione! Il solo svegliarsi la mattina per vivere una nuova giornata è una benedizione! Ma come non commuoversi rispetto a questo processo di totale rinascita che anima tutti? Come piante baciate dal sole, vibriamo e ci animiamo… viviamo! La notte è solo oscurità e ci angustia con le nostre paure. Facciamo fatica a liberarcene perché si ostina a trattenerci e tormentarci con i nostri fantasmi e le nostre fragilità: fallimenti, sconfitte, incertezze, rancori, sofferenze piombano su di noi man mano che le tenebre avanzano.

La notte, poi, è legata all’inattività… certo, sogniamo ma non siamo noi stessi in quei momenti… infatti chi sceglierebbe di fare degli incubi? Chi non preferirebbe riprodurre continuamente ridenti e gioiose scene nella propria mente? È la notte che continua a tormentarci anche quando abbiamo chiuso gli occhi! Persino quando il sonno sta per prenderci completamente, un altro timore emerge: quello di non potersi più svegliare e sprofondare in un sonno infinito, in un incubo infinito. Ecco perché il mio cuore gioisce quando mi si aprono gli occhi: ogni nuovo giorno è una benedizione!

Se penso a quante terre sono raggiunte da questa luce, a quei territori così vasti da non avere fine, io tremo per l’emozione. La luce abbraccia milioni di persone, chilometri e chilometri di terre e io posso entrarvi in contatto, io posso conoscerli, io posso essere un tutt’uno con questo infinito e partecipare, insieme a un numero indefinito di individui, al processo di rinascita del mondo. Sì, il mondo rinasce… quotidianamente rinasce… a volte ci mette più di un giorno ma rinasce comunque… rinasce con la speranza: la speranza di poter cambiare, di poter crescere e migliorare per il bene di tutti. Speranza e vita sono strettamente collegate tra loro: non c’è vita senza speranza, non c’è speranza senza vita…


Il mondo rinasce, soprattutto adesso, con questa nuova luce che ha tranciato la cortina di ombre che ci copriva… sembrava impossibile vedere la luce ma, alla fine, ce l’abbiamo fatta, ancora una volta ce l’abbiamo fatta… questo ci ha permesso di andare avanti: la speranza, o meglio la consapevolezza, di poter vedere un giorno nuovo, un giorno diverso nella nostra esistenza. La guerra è finita, la luce ha vinto sulle tenebre e un nuovo corso è appena cominciato. Questa è la benedizione più grande!

martedì 9 giugno 2015

giovedì 4 giugno 2015

***RACCONTO N. 3: INCONTRI***


Tratto da "A una passante" di Charles Baudelaire (Dipinto: "Persone che si incontrano" di August Macke) 


Non è raro fare un incontro casuale e poi pensarvi costantemente per tutto il resto della giornata. Questa mattina passeggiavo urtando un tizio a destra e un altro a sinistra per farmi spazio tra la massa di persone che affollava le strade. Non oso immaginare l’enorme numero di volti che ho intravisto… tante vite che si incontrano nello stesso istante e nello stesso luogo… esistenze che si intersecano… ognuno con il proprio passato, con i propri legami, i propri sentimenti, le proprie speranze e i propri obiettivi. Migliaia di corpi (quasi) pensanti che si affannano per qualcosa e che si ritrovano a condividere parte del proprio tempo e anche un brevissimo tratto di cammino.

Marciano ignorandosi l’un l’altro non sapendo, magari, che quello che si affretta al loro fianco ha le stesse paure. Un altro tizio prosegue non sapendo che l’uomo che lo ha appena superato è stato amante di sua moglie prima ancora che si conoscessero. Una bella donna cammina altezzosa non curante degli sguardi compiaciuti di una combriccola di ragazzi. In qualche modo, nonostante si tratti di perfetti sconosciuti, queste persone stabiliscono una fitta rete di connessioni, a volte momentanee, a volte più profonde di quanto si immagini… oscura e invisibile.

Proprio questa mattina mi è capitato di instaurare una simile connessione. Non ho potuto fare a meno di notare tra la folla una donna… era alta, la pelle chiara come neve, i capelli neri come la notte. Il rossetto scuro partecipava alla pallida armonia del viso. I lineamenti erano graziosi, il corpo ben slanciato… vestiva a lutto… il nero dei vestiti non mi ha fatto pensare a qualcosa di diverso. E lì ho incominciato a pormi mille domande… chi ha perso? Il marito, il figlio, il padre, la madre? Mille interrogativi che non troveranno una risposta…

Camminava con fare austero, sicura di sé, ma allo stesso tempo un velo di malinconia era adagiato sul volto… il lutto non sarà stato così lontano… In quel momento camminava sollevando l’orlo della gonna e io ho potuto ammirare le sue gambe… bellissime, come se fossero state scolpite da Canova in persona… è stato un attimo… io ho notato quella donna tra decine e decine di persone… in quel momento non c’era nessun altro… solo io e lei… forse, se avessi rivolto lo sguardo alla mia destra, avrei visto una donna ancora più bella, formosa e felice… non potrò mai saperlo perché le connessioni che costruiamo quotidianamente non permettono di tornare indietro ma si intersecano a caso e noi non possiamo far altro che subirle e apprezzarle.

È durato un attimo ma una miriade di pensieri ha invaso la mia testa. Innanzitutto la contemplazione… come non ammirare e venerare quel volto bellissimo e quel nobile portamento? Poi compassione… come non provare un pizzico di malinconia di fronte al suo dolore? Poi curiosità… come si chiamava? Chi era? Quanti anni aveva? Era sposata o fidanzata? Perché si trovava lì? Dove stava andando? Qualcuno la stava aspettando? Avrebbe accettato che io la accompagnassi? Avrebbe gradito una passeggiata insieme al parco? … insomma: avrei potuto avere una relazione con lei? Magari sarebbe stata la più felice e fortunata delle mie relazioni!


A tutti questi dubbi non troverò mai risposta perché lei è andata via percorrendo una strada a me oscura. È andata via e, per quanto io abbia stabilito una connessione con lei, per quanto continui imperterrito a tener vivo questo legame, non sarà possibile ripristinarlo… a meno che il caso non faccia incrociare nuovamente i nostri destini ma le probabilità sono ridotte davvero al minimo! Continuerò a pensare per un po’ a lei come a un’opportunità persa e a un’occasione mancata consapevole che la Storia non si fa né con i “se” né con i “ma” e che potrò rivivere (purtroppo o per fortuna, non lo so!) un numero indefinito di esperienze simili nei giorni a venire.