sabato 31 ottobre 2015

*** RACCONTO N. 17: GUFI ***




Racconto tratto dalla poesia "I Gufi" di Charles Baudelaire

Nel tornare a casa quando il sole è calato ormai da tempo e le strade si sono svuotate del chiacchiericcio della folla e si sono riempite delle tenebre, non è raro ascoltare in lontananza un suono veloce ma scandito e più volte ripetuto nell’ombra. Non è possibile capire da dove arriva ma lo si percepisce come se un qualche dio parlasse al mondo direttamente dal cielo. Sono le creature della notte che, in quel momento, si animano e, probabilmente, lodano l’assenza di rumori e partecipano a un mondo che è solo per i pochi che sanno apprezzarne la tranquillità e il silenzio.

Certamente non possiamo comprendere cosa vogliano dire i gufi con il loro bubolare! Alle nostre orecchie quei versi appaiono troppo simili, se non uguali, nelle loro diverse sequenze. Ma, come ho già detto, sono convinto che, in quel momento, non stiano facendo niente di diverso che tessere le lodi dell’ordine della notte! Leopardi e Foscolo non sono i soli autorizzati a celebrare la luna e la sera! Ho cercato di documentarmi su queste strane creature attraverso qualcuno dei diversi libri che questi anni stanno partorendo a ritmi indescrivibili. Le ricerche scientifiche proliferano in maniera inimmaginabile e alcuni studiosi non hanno tralasciato gufi, allocchi, civette e barbagianni…

Ebbene, ho scoperto che, quando noi non possiamo notare questi animali, cioè nel corso della giornata, loro se ne stanno tranquilli su un albero… se ne stanno lì in silenzio e completamente immobili! Gli occhi, quando restano aperti, si muovono a destra e sinistra a ritmo irregolare, ma è come se dormissero poiché non emettono suoni. Meditano, questi attenti e silenziosi osservatori della realtà, meditano! Nessuno sa cosa passa per la loro testa! Ma, di certo, hanno capito che l’estraniarsi e il non mescolarsi con questo mondo è di gran lunga preferibile al partecipare a questa caotica società.

Un po’ come fanno anche gli albatros… che si divertono volando solitari e, nel momento in cui planano giù, divengono oggetto di scherno agli occhi dell’uomo che non può evitare di ridere di fronte a quella goffa bestiola. Anche i gufi hanno capito la cosa giusta da fare! Sarà una caratteristica di chi è in grado di volare! I gufi hanno capito che è meglio osservare la realtà quotidiana, studiarla nella propria mente, criticarla nel proprio animo anziché mescolarsi con essa. E quale vantaggio si avrebbe mai? Si sarebbe vittima di un fiume in piena che continua a travolgere l’uomo moderno facendo danni a destra e a manca.

È una società in perenne cambiamento… le strade sono piene di gente che va e che viene e pare che l’unico motivo di gioia sia il progresso! Vi è una frenetica ansia di cambiare… e, solo di notte, si apprezza davvero la tranquillità. Solo nel buio, luogo per ubriachi, sì, ma anche per gli spiriti eletti, ci si ritrova con se stessi prendendo le distanze da una società che si è smarrita e che ha iniziato a venerare il dio del progresso e della tecnologia. Pian piano l’arte conoscerà il suo tramonto e di noi poeti non rimarrà che un lontano e malinconico ricordo.

I gufi sono dei veri saggi: hanno preferito la pace e la tranquillità al caos, né sembrano intenzionati a cambiare le loro abitudini. Non è un caso che questo animale fosse caro ad Atena, la dea dell’intelligenza. Potessi essere un gufo: di giorno sarei lontano da rumori, urla, pettegolezzi, insulti e bassezze; di notte volerei libero con la consapevolezza di non dovermi mescolare con questo mondo!





giovedì 22 ottobre 2015

*** RACCONTO N. 16: L'APE ***

Tratto dalla poesia "Un'ape esser vorrei" di Torquato Tasso



Da qualche tempo una donna ha acquisito un diritto sul mio cuore e sulla mia stessa vita che nessun’altra ha mai avuto prima e, probabilmente, neanche io posseggo. È buffo e anche poco virile doverlo ammettere ma questa è la situazione in cui verso da settimane. Se lei volesse, potrebbe venire da me in qualunque momento, persino nel cuore della notte, e reclamare ciò che le spetta, ciò che inconsapevolmente e silenziosamente le ho voluto donare. Magari accadesse! Ma le speranze sono ormai ridotte al minimo a voler essere ottimisti!

Questa donna, infatti, mi appare tanto bella e dolce quanto crudele e senza scrupoli. Credo di non esser il primo a dire una cosa del genere… le pagine son piene ormai di queste parole: una maledizione per noi poeti! Comunque sia… i miei occhi si sono posati desiderosi sul suo corpo ma i suoi si sono voltati dalla parte opposta. Ho tentato di  rivolgerle qualche parola gentile ma la sua bocca ha emesso soltanto suoni freddi e brevi. Possiede una certa eleganza e un nobile portamento e ciò la rende ancora più incantevole e temibile. Con una donna del genere, l’uomo che avesse la fortuna di starle al fianco, le sarebbe sicuramente sottomesso. Ma a me è negato persino di accostarmici…

Non so cosa bisognerebbe fare per conquistare il tuo cuore. Non so di fronte a cosa capitoleresti. Non so se esista un uomo che possa tener testa alla tua inflessibilità. Certamente, quest’uomo non sono io… non ho la forza per sostenere il tuo sguardo profondo e imperioso, non sarei in grado di replicare alla tua parola ferma, sicura e, comunque, dolce. Sono troppo debole… potrei, però, riuscire a sfidarti se fossi qualcun altro, qualcos’altro… dovrei essere un’ape. Così piccola e quasi invisibile ti colpirei in una maniera non tanto diversa dalla tua: non mi scagli anche tu dolorosi  colpi invisibili?
Se fossi un’ape, ti seguirei per tutta la giornata ronzandoti attorno. Avrei la fortuna di vederti costantemente e di navigare lungo la scia del tuo profumo. Poi ti conoscerei meglio! Avrai anche tu dei punti deboli e delle fragilità su cui potrei focalizzare la mia strategia! Inoltre, seguendoti sempre e dappertutto, anche nei momenti più intimi della giornata non saresti mai da sola e ciò andrebbe tutto a mio vantaggio. Finalmente ammirerei ciò che si nasconde sotto quelle lunghe e ampollose vesti e, anche se non potrò averti, già solo questo sarà una piccola vittoria per me!

Forse questo è l’unico modo per averla vinta su di te. Me ne andrei, poi, prima che tu possa accorgerti o infastidirti per la mia presenza ma dopo aver lasciato un mio segno sul tuo corpo. Pensavi per caso che ti avrei lasciata andare senza averti sfiorata minimamente?! Affonderò il mio pungiglione sul tuo bianco seno… una piccola ferita ma fastidiosa  che non potrà certo eguagliare le ferite che mi porto dentro ma, sicuramente, mi allieterà perché avrà il sapore della vendetta!


domenica 4 ottobre 2015

*** RACCONTO N. 15: FRANCESCO, LODE AL SIGNORE ***


Racconto tratto dal "Cantico delle Creature" di San Francesco d'Assisi (1181-1226). Il dipinto è "Stimmate di san Francesco", di Gentile da Fabriano (1370-1427). L'immagine sottostante è di Giotto (1267-1337): l'affresco, realizzato nella Basilica superiore di Assisi, rappresenta la predica di san Francesco agli uccelli.


Un’altra giornata si è conclusa e, sebbene io stia in questo luogo da molti giorni, giurerei di non conoscerne ancora i particolari. Mi basta spostare lo sguardo di qua o di là per cogliere un dettaglio che mi è sfuggito: a seconda della provenienza della luce questi alberi e queste rocce appaiono diversi e sembrano comunicare qualcosa di diverso. E così mi fermo a contemplare lo spettacolo che mi circonda… per svariati minuti mi dimentico di fratello Leone e del dolore che affligge le mie mani… resto ipnotizzato da questo incanto e lascio che la natura mi parli…

E io sono tutto orecchi… le foglie vibrano, i rami ondeggiano, il fiume in lontananza rumoreggia, talvolta una volpe o una lepre esce di corsa da un cespuglio e mi concede l’onore di avvicinarmi, gli uccellini cinguettano festosi nell’aria, i fiori brillano con i loro colori, la terra emana i suoi odori piacevoli e profondi… allora lo capisco… capisco che tale bellezza è il preannuncio di qualcosa di più grande… capisco che, in questa vita, posso pregustare quello che sarà il Paradiso… allora cado sulle ginocchia commosso e ringrazio Dio per quello che ha fatto per noi… la mia preghiera, per quanto nasca da un cuore umile e sia pronunciata da una lingua che non troverà mai le parole giuste, ha l’impudenza di porsi a rappresentanza dell’umanità tutta.

Ringrazio Dio per tutto quello che ci ha dato: il sole, la luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco… sono nostri fratelli, non ci sono estranei perché noi viviamo con e grazie a loro… ci hanno accolti, ci accolgono ogni giorno: come potremmo non riconoscere tutto ciò che fanno per noi? Da loro traiamo il nostro sostentamento ma, soprattutto, essi partecipano alla bellezza della Creazione. Dio, cosa hai fatto? Dio, quanto ci ami? Dio, quanto non ti amiamo? Ci hai fatti liberi e ci hai donato questa meraviglia. Tensioni, gelosie, rancori e litigi spesso ci fanno dimenticare, ci fanno chiudere gli occhi… ma basta fermarsi un attimo e guardarsi attorno: il trionfo della bellezza! Io ne sono estasiato e, finché avrò respiro, canterò la mia lode a Te, Signore!

Ti ringrazio, dunque, anche per queste sofferenze che mi onorano e m’imbarazzano perché non sono degno di condividere il Tuo supplizio. Ma so che questo dolore eleva il mio spirito perché non c’è grandezza senza dolore, vittoria senza sacrificio. E so bene che quanti sopportano e patiscano con fede, da Te riceveranno una corona di luce lassù…


Ti ringrazio anche per la stessa morte che ho imparato a non temere grazie a Te. San Paolo ha detto che «L’ultimo nemico che sarà sconfitto sarà la morte» (1 Cor 15, 26): il Tuo sacrificio, infatti, ci ha tolto anche questa paura, la Tua Passione ci ha donato la speranza nella Resurrezione. Per questo non ho paura di morire e cercherò di affrontare il mio congedo da questo mondo con il sorriso di chi si appresta a incontrare il Padre che tanto ha dato ai suoi figli. Morirò felice perché Ti incontrerò, finalmente Ti vedrò. Morirò felice perché, colmo del Tuo amore, saprò amare ancora di più. Colmo del Tuo amore, gusterò una gioia eterna. Seguendo il Tuo esempio, ho avuto tanto da questa vita e altro non desidero che far fruttare questo piccolo tesoro nella Gerusalemme Celeste: infatti «per me il vivere è Cristo e il morire è un guadagno» (Fil. 1, 21).