Racconto tratto da "Attesa" di Vincenzo Cardarelli. Dipinto di Wilhelm Leibl ("In Attesa")
Me
ne sto seduto al tavolino di questo piacevole locale. Non l’ho scelto a caso: è
frequentato da gente tranquilla, non troppo ricca, che ama trascorrere
un’oretta seduta a conversare, lasciandosi coccolare dall’odore dei croissant
appena sfornati e dal penetrante ma gradevole aroma di caffè. C’è chi
preferisce un tè, una cioccolata calda, un succo di frutta, del semplice latte
(perché quello che ti viene servito qui in un’elegante tazza di porcellana non
può avere lo stesso sapore di quello che bevi frettolosamente in un banale
bicchiere di casa tua)…
C’è
chi mangia una fetta di torta, chi dei biscotti… chi si confida al proprio
amico, chi da solo legge un giornale recitando la parte dell’intellettuale di
turno e poi ci sono io… Io che osservo tutti i clienti, impaziente di poter
incominciare a parlare con qualcuno proprio come fanno loro. Spesso distolgo lo
sguardo e lo rivolgo alla mia destra: un viale che dà sul mare. È una vista
formidabile: uno dei motivi per cui ho scelto questo locale. La gente passeggia
lungo il viale dalle lucide mattonelle bianche… vedo tranquillità intorno a me.
Sì, qualcuno starà anche sfogando i suoi problemi ma c’è la percezione che, in
questo posto, le preoccupazioni non potranno superare una determinata soglia.
Sento (e lo sa anche tutta questa gente qua dentro) che non esiste alcun
problema che non si possa risolvere. Oggi siamo in ansia, domani anche, ma dopodomani
sarà acqua passata e si tornerà alla vita tranquilla di sempre.
E
io attendo… al momento non ho nessuno con cui parlare se non il cameriere che,
già due volte, mi ha chiesto se desiderassi ordinare. A volte mi sembra di
parlare una lingua del tutto incomprensibile agli altri. Che cosa non è chiaro
nelle parole “Sto aspettando una persona”? Giuro che se viene una terza volta
mi metto a urlare, al diavolo questa atmosfera da “piccolo ritaglio di
paradiso”! Se penso queste cose, probabilmente sono inadatto a questo posto!
Però ho le mie ragioni: è quasi mezz’ora che aspetto e lei non arriva. Una voce
continua a dirmi che non arriverà ma cerco di reprimerla subito. Ma, più passa
il tempo, più questa voce si fa forte e pesante in tutta la sua veridicità. Al
solo pensiero, sento lo stomaco contorcersi come se facesse spazio a una mano che
da dentro cercasse di afferrarmi e tirarmi giù. Le guance mi si colorano di
rosso e mi sento bruciare. La prospettiva della sconfitta fa male. E, a questa,
si aggiunge anche la vergogna di essere l’unico in attesa di qualcuno che, a
quanto pare, non arriverà.
Ogni
tanto sento il peso di occhi estranei che mi osservano e si interrogano sulla
mia solitudine. Cerco di ricambiare lo
sguardo e, subito, quegli occhi si posano su un altro obiettivo. Ogni tanto
tossisco e sgranchisco la voce come se volessi riempire questo momento vuoto. È
tutto inutile: non ha accettato il mio invito. La prospettiva della sconfitta
fa male, la presa di coscienza è peggio. Avevo ideato il mio programma, avevo progettato questo
incontro e anche quelli successivi… ma le illusioni di un innamorato superano
di gran lunga le fantasie di un bambino. Hai deciso di non venire
all’appuntamento, hai deciso di non ricambiare o anche solo di dare
un’opportunità al mio amore. Amore! Ieri ti benedivo, oggi ti maledico!
Sarà
difficile alzarsi da questa sedia: le radici delle speranza e dell’umiliazione
sono ben profonde. Credo che mi
concederò qualche minuto in più per capacitarmi e prendere coraggio. Un
momento… sento qualcuno che si è appena fermato alla mia sinistra. «Desidera
ordinare, signore?»
Non
è lei…