sabato 16 marzo 2019

*** RACCONTO N. 27: IL BEL SALUTO ***


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Racconto tratto da "Lo vostro bel sauto e 'l gentil sguardo" di Guido Guinizzelli
Il dipinto dal titolo "Dante e Beatrice" è di Henry Holiday

Stavo passeggiando per le stradine della mia Bologna diretto alla mia dimora. Avevo da poco incontrato frate Adelmo che mi ha promesso al più presto della nuova pergamena. Ero, dunque, diretto alla mia casa, immerso tra mille pensieri, quando l’ho vista… indossava un lungo vestito verdone che, facendo intravedere soltanto il collo, lasciava immaginare le sue forme... I suoi capelli color castano chiaro che si adagiavano sulle sue spalle… gli occhi in cui si rifletteva la luce del sole alto a mezzogiorno…

Non era la prima volta che la incontravo poiché la conosco bene. È la figlia di un ricco mercante di stoffe, amico di mio padre. Non mi è mancata occasione di vederla in passato, specialmente quando accompagnavo mio padre a far visita al suo. Devo, però, ammettere che, soltanto da qualche mese, quando l’ho rincontrata a distanza di anni, difficilmente il suo volto riesce ad abbandonare la mia mente. Pensarla mi è divenuto ormai vitale, ella ispira le mie rime. Ed ora, seduto al mio tavolino, sono preso dal folle bisogno di affidare al calamo l’episodio di questa mattina: ancora una volta parlerò di lei, ancora una volta dovrò fare in modo che sia il mio cuore a esprimersi e a svuotare tutto.

Personalmente non mi è mai capitato di ritrovarmi una lama puntata contro ma, dalle storie che si raccontano nelle taverne e, talvolta, nei palazzi dei nobili, pare che il malcapitato, di fronte alla punta aguzza di una spada o di un pugnale, difficilmente riesca a mantenere il controllo di sé e non è raro che sia incapace di proferir parola se non preghiere poco virili che invocano la pietà e la clemenza di chi sta per affondare la lama nelle sue carni. Fortunatamente mai, dicevo, mi è capitato un episodio simile ma ciò che è accaduto questa mattina ritengo sia di gran lunga peggiore.

Passeggiava tranquillamente dialogando e ridacchiando con due sue amiche e, alla mia vista, non ha fatto altro che sorridermi e salutarmi. «Buongiorno, Messer Guido». Tre parole e un sorriso, nulla di più. Cosa sono in confronto al duro acciaio? Niente, mi direste voi… eppure, ho sentito qualcosa più forte di una lama penetrarmi le viscere e giungere fino al cuore, come un dardo scoccato da uno di quegli imponenti archi inglesi… Ma chiunque venga colpito al cuore da una freccia, cade immediatamente a terra senza vita. Io, invece, continuo a vivere e a sentir dolore!

È durato un attimo. Mi è passata davanti e mi ha salutato. Credo di non aver avuto la gentile cortesia di rispondere al suo saluto: sono rimasto lì fermo a vederla passare davanti a me, fermo come una statua d’ottone, incapace di manifestare alcun segno di vita. Di duro ottone si è fatto il mio corpo quanto duro era il colpo che il mio cuore ha subito, i cui effetti ancora si fanno sentire. Non so come andrà a finire questa storia, non so se reagirò mai a simili incontri, se avrò la forza e il coraggio anche solo di rispondere al suo saluto. So soltanto che, ancora una volta, dovrò rifugiarmi nella dolcezza delle rime per poter trovare un minimo di sollievo. Ma possono i versi sciogliere l’ottone?