Fa freddo, stiamo gelando… eppure non ne soffriamo più. La
schiena a pezzi, per ore e ore distesi in questa fossa… ma ormai i nostri corpi
non sono altro che un prolungamento del ventre della terra. Abbiamo fame,
abbiamo sete… ma ci siamo abituati. Ma non ci abitueremo mai a quest’odore. Non
quello della terra e dell’erba bagnate dal gelo notturno. No, ci risulterebbe
addirittura piacevole, in un’altra situazione almeno. Non quello delle polveri
e degli esplosivi che, per quanto possano esserci tossici, ci ricordano che
siamo ancora vivi. Non quello dei nostri corpi e dei nostri escrementi… il
nostro naso e il nostro stomaco si sono abituati anche a quello! Non siamo
tanto diversi dalle bestie, insomma, ma continuiamo a pensare, a ragionare, a
lottare, a soffrire… non ci abitueremo mai a questo odore ferroso. E non è
quello delle armi. No, è qualcosa di molto più umano, più intimo, qualcosa che
ci appartiene da sempre, da quando siamo stati concepiti, che ci portiamo in
ogni momento pur senza ricordarlo. È l’odore del sangue.
C’è sangue ovunque. Le pozzanghere sono ormai un misto di
fango, sangue ed escrementi. La vita è buttata là in mezzo ai rifiuti… rimasta
a urlare nei nostri cuori ogni volta che i nostri logori stivali affondano in
quelle pozzanghere. E schizza schiacciata dal peso dei nostri corpi, come se
fosse pioggia, come se si fosse raccolta della semplice acqua piovana. Lì per
lì, impegnati a sopravvivere nel corso della battaglia, non ce ne accorgiamo.
Ma basta fermarsi un attimo, un momento, l’odore del sangue torna a tormentare
le nostre narici, provoca le nostre lacrime.
E non potrebbe essere altrimenti… perché appena sopra quella
pozzanghera c’è un corpo inerte… pallido, rigido, più freddo dell’aria, gli
occhi sbarrati, la bocca aperta… un altro compagno andato via, un’altra vita
abbattuta. La luce della luna (bella lei, se ne sta tranquilla là sopra e si
prende gioco di tutti noi!) accarezza quel corpo. E riesce a renderlo ancora
più terribile… la luna me la immagino illuminare il corpo di una donna che
vuole essere amata da me. Quanto è distante la mia mente dalla realtà. Quanto
distante sono io dalla mia casa, dalla vita di prima, dagli affetti… da una
distesa verde illuminata dalla luna e una donna che vuole stringermi a sé.
E tu sei qua, fratello mio… sei uguale a me. Sei stato solo
più sfortunato di me. Tu sei morto e io continuo a morire vivendo. Sono tutti
uguali a me. Anche quelli che stanno dall’altra parte, anche quelli che queste
mani hanno ucciso. Siamo maledetti, condannati a svuotare questi caricatori
nella speranza che il fronte avversario possa cadere prima del proprio e si
possano conquistare metri preziosi. Ma sono giorni che non avanziamo né
arretriamo di un millimetro.
Per quanto ancora, fratello mio, continuerai a fissarmi?
Per quanto ancora il tuo sangue mi tormenterà?
Per quanto ancora durerà questa guerra?
Non voglio morire…