giovedì 28 febbraio 2019

*** RACCONTO N. 26: GUERRA ***

Spesso la vediamo in tv o al cinema, qualcuno ci gioca ai videogiochi, ne parliamo come se fosse un fenomeno lontano da noi e impossibile a vedersi nelle nostre terre. Pensiamo di conoscerla, ma non possiamo neanche immaginarla, la guerra... un racconto tratto da "Veglia " di Giuseppe Ungaretti





Fa freddo, stiamo gelando… eppure non ne soffriamo più. La schiena a pezzi, per ore e ore distesi in questa fossa… ma ormai i nostri corpi non sono altro che un prolungamento del ventre della terra. Abbiamo fame, abbiamo sete… ma ci siamo abituati. Ma non ci abitueremo mai a quest’odore. Non quello della terra e dell’erba bagnate dal gelo notturno. No, ci risulterebbe addirittura piacevole, in un’altra situazione almeno. Non quello delle polveri e degli esplosivi che, per quanto possano esserci tossici, ci ricordano che siamo ancora vivi. Non quello dei nostri corpi e dei nostri escrementi… il nostro naso e il nostro stomaco si sono abituati anche a quello! Non siamo tanto diversi dalle bestie, insomma, ma continuiamo a pensare, a ragionare, a lottare, a soffrire… non ci abitueremo mai a questo odore ferroso. E non è quello delle armi. No, è qualcosa di molto più umano, più intimo, qualcosa che ci appartiene da sempre, da quando siamo stati concepiti, che ci portiamo in ogni momento pur senza ricordarlo. È l’odore del sangue.

C’è sangue ovunque. Le pozzanghere sono ormai un misto di fango, sangue ed escrementi. La vita è buttata là in mezzo ai rifiuti… rimasta a urlare nei nostri cuori ogni volta che i nostri logori stivali affondano in quelle pozzanghere. E schizza schiacciata dal peso dei nostri corpi, come se fosse pioggia, come se si fosse raccolta della semplice acqua piovana. Lì per lì, impegnati a sopravvivere nel corso della battaglia, non ce ne accorgiamo. Ma basta fermarsi un attimo, un momento, l’odore del sangue torna a tormentare le nostre narici, provoca le nostre lacrime.

E non potrebbe essere altrimenti… perché appena sopra quella pozzanghera c’è un corpo inerte… pallido, rigido, più freddo dell’aria, gli occhi sbarrati, la bocca aperta… un altro compagno andato via, un’altra vita abbattuta. La luce della luna (bella lei, se ne sta tranquilla là sopra e si prende gioco di tutti noi!) accarezza quel corpo. E riesce a renderlo ancora più terribile… la luna me la immagino illuminare il corpo di una donna che vuole essere amata da me. Quanto è distante la mia mente dalla realtà. Quanto distante sono io dalla mia casa, dalla vita di prima, dagli affetti… da una distesa verde illuminata dalla luna e una donna che vuole stringermi a sé. 


E tu sei qua, fratello mio… sei uguale a me. Sei stato solo più sfortunato di me. Tu sei morto e io continuo a morire vivendo. Sono tutti uguali a me. Anche quelli che stanno dall’altra parte, anche quelli che queste mani hanno ucciso. Siamo maledetti, condannati a svuotare questi caricatori nella speranza che il fronte avversario possa cadere prima del proprio e si possano conquistare metri preziosi. Ma sono giorni che non avanziamo né arretriamo di un millimetro.



Per quanto ancora, fratello mio, continuerai a fissarmi?
Per quanto ancora il tuo sangue mi tormenterà?
Per quanto ancora durerà questa guerra?
Non voglio morire…
 

mercoledì 20 febbraio 2019

*** RACCONTO N. 25: EROS DOLCEAMARO ***



Tratto da un componimento della poetessa Saffo (frr. 31-130 Voigt)
Il dipinto è "Saffo e Alceo a Mitilene" (Lawrence Alma-Tadema)

Questa notte il mio giaciglio mi è estremamente fastidioso, un pensiero fisso tormenta la mia mente, ho la guerra nel cuore e alterno sentimenti di amore e di odio. Sento, dentro di me, che potrei amare al pari di Afrodite e, allo stesso tempo, fare la guerra come se fossi Ares in persona… non a caso i due sono stati amanti. Resto esterrefatta di fronte all’ambivalenza della mia anima… un sentimento così positivo come l’amore si mescola con l’odio più profondo, la volontà di torturare come io stessa lo sono da te, ignobile essere, ladro, tu che mi hai spodestato, tu che mi hai negato il posto che gli dei mi avevano riservato!

Ho creduto di poter avere al mio fianco la bella Ariadne ma è stata un’illusione… invano l’ho desiderata, invano ho sperato! E mi sono soltanto illusa quando mi sorrideva, quando mi parlava cordialmente, quando mi chiedeva consiglio su abiti e balli, quando mi raggiungeva da sola nella mia camera per apprendere l’arte della poesia. Credevo di poter essere più che un mentore o una madre o una sorella maggiore, credevo di poter essere un’amante… ma, se il tempo ha fatto sì che i semi dell’amore pian piano venissero assorbiti e germogliassero dentro di me, tale processo non è avvenuto in te, mia Ariadne.

Mi sono illusa di poter rivendicare su di te un vero e proprio diritto di proprietà e, se anche tu non fossi stata mia e io avessi pensato che tu non fossi di nessuno, in realtà eri già di qualcun altro. Non c’è cosa peggiore dell’illusione… per più notti mi sono addormentata su questo giaciglio con il sorriso, ho chiuso gli occhi con la tranquillità di chi ha seminato e attende, sicuro, i frutti. Quelle volte, nel sonno, facevo soltanto sogni gioiosi e tu eri al mio fianco, Ariadne. Ingenua come una bambina, sono caduta nella trappola d’amore…


Risultati immagini per saffo immagini

Dipinto pomepiano ritraente la poetessa

Continuavo a esser sola ma il pensiero di una (certa) vittoria mi allietava finché non vi ho viste oggi… o Eros, dolceamaro tremendo demone! La mia Ariadne era in compagnia di un’altra ragazza, Berenice, più giovane di lei. In quel momento ho visto l’usurpatrice diventare Ariadne e Ariadne diventare Saffo… e io cos’ero? Un ammasso di gelosia e invidia nei confronti di una delle ultime arrivate al tiaso… lei, che credo non sappia nemmeno cosa significhi “fare l’amore”, era alla destra di Ariadne, lì dove credevo spettasse a me stare.

Ho provato invidia per Berenice, la provo tuttora. Lei è stata benedetta dagli dei… non so se abbia scelto o sia stata scelta da Ariadne, eppure era lì! Sei stata fortunata, Berenice! E tu, Ariadne, ingenuamente, ogni tanto, alzavi lo sguardo verso di me e sorridevi… ti accorgevi di me… ma il tuo sorriso non aveva nulla di quello che io, se fossi riuscita a trattenere la rabbia, ti avrei rivolto in risposta. E, così, ho fatto solo un cenno del capo mentre, dentro di me, c’era la guerra… le altre ragazze cercavano di parlarmi ma rispondevo solo a monosillabi… se rispondevo, non le guardavo in faccia perché, in quel momento, il mio sguardo era rivolto solo in una direzione… credo di non averle sentite neanche parlare perché le mie orecchie cercavano di captare altre parole… e la rabbia cresceva dentro di me e, ancora, attende di essere sfogata.

Eppure continuo ad amarti, Ariadne. Amo te e odio Berenice! Al solo pensiero, mi sento morire e, se mi domando cosa ne sarà di me, come riuscirò a convivere con questi due sentimenti così distanti tra di loro, non riesco a trovar risposta…