Tratto da "La sera del dì di festa" di Giacomo Leopardi (Dipinto: "Notte stellata sul Rodano" di Vincent Van Gogh)
Dalla
finestra filtra la pallida luce della luna. Non riesco a dormire e continuo a
fissare il soffitto della mia stanza. Se non fosse per i miei sospiri, ci
sarebbe assoluto silenzio. Se non fosse per il tamburo che mi ritrovo in petto
penserei di esser morto. Se non fosse per un leggero soffio d’aria che proviene
dalla porta, crederei questa stanza essere la mia tomba. Eppure sono vivo!
Un’altra giornata è trascorsa e, presto, alla luce della luna si sostituirà
quella del sole.
Riesco
a scorgere sul mio tavolino poco distante il profilo dei libri che mi hanno
accompagnato in questa giornata: muti e, al tempo stesso, eloquenti amici, ve
ne state lì immobili in attesa di esser sfogliati, incuranti delle gioie e
delle sofferenze che contengono le vostre pagine, incuranti dei miei travagli.
Ve ne state lì, baldanzosi, sicuri del vostro valore e della vostra utilità e
di una probabile longevità che si prenderà gioco della mia vita: ahimè, sarò
morto prima di aver potuto leggere tutto! Ve ne state lì a raccogliere polvere:
oggetti muti ma profondi come voragini infernali in cui perdersi con il rischio
di non ritrovare più se stessi. Ve ne state lì, compagni a cui non posso
parlare! Se solo sapeste cosa mi strugge…
Che
silenzio! Recanati dorme… come sempre! Questo silenzio tradisce la vivacità
delle ore passate. È stata una giornata di festa… gioia, divertimenti, svaghi:
ipocrite manifestazioni di una labile felicità. Ho scorto diversi volti raggianti.
Come un estraneo mi sono fatto spazio tra la folla e ho osservato, ho osservato.
Ho raggiunto un angolo della piazza e ho studiato gli sguardi di ognuno ma non
riesco a credere che fossero davvero felici. I bambini forse… ma i più grandi?
No, non lo erano… non era difficile cogliere una piccola ombra tra le pieghe
dei loro volti… e più la giornata trascorreva, più quell’ombra avanzava…
probabilmente causata dal pensiero dell’approssimarsi del giorno feriale. Più
li osservavo, più mi convincevo che non era insensata questa mia infelicità.
Toh!
Sento provenire dalla strada una melodia. Un artigiano forse che torna alla sua
dimora canticchiando? Così inaspettato appare all’orecchio mio questo suono…
come imprevisto è stato quello sguardo che ho intercettato… Stavo quasi
lasciando la folla ai suoi sollazzi quando ti ho vista. Io non so chi tu sia,
ignoro il tuo nome. Lo stesso tuo volto pian piano sbiadisce nella mia mente…
poco importa! La mia fantasia continuamente lo ridisegna: quale gran piacere
nel muovere la matita dell’immaginazione! Eri lì con il tuo vestito bianco
svolazzante a danzare assieme ai tuoi compagni. I tuoi capelli scuri e mossi volteggiavano
leggeri assieme a te. Non so quanto sono rimasto ad osservarti: sono stato lì
fermo per un lasso di tempo che mi è sembrato infinito. Di certo tu continuavi
a danzare ignara di me. Tuttora starai dormendo tranquilla non sapendo le vie
percorse dalla mia mente per raggiungerti. O forse sei ancora sveglia? Forse
stai pensando a quanti ti hanno osservata oggi, a quegli sguardi che, magari,
hai ricambiato con uguale piacere. Certamente non pensi a me…
No,
non pensi a me. Vorrei alzarmi da questo letto, gridare, urlare, buttarmi a
terra! Ed ecco che il ricordo di te appare terribile e piacevole al tempo
stesso. Sublime… forse avrei bisogno di così poco per poter stare meglio. Forse
l’uomo ha bisogno di un volto per stare bene. Forse non gli basterebbe la
semplice immaginazione o il semplice ricordo, forse avrebbe bisogno di
desiderare e conquistare quel volto. Forse avrebbe bisogno di poterlo toccare e
saperlo suo… Forse mi basterebbe così poco… o così tanto…
Continuo
a non prendere sonno e il tempo passa. Un'altra festa è passata, un altro
giorno trascorre, un altro anno si completerà ed io non avrò desiderato altro
che morire schiacciato da questi tristi pensieri.