giovedì 21 maggio 2015

*** RACCONTO N. 1: Perso nella pineta****



Tratto da "La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio

È buio. Non si vede niente e intorno a me c’è la guerra. Il cielo ruggisce come se dovesse rovesciare il mondo intero nell’abisso. Proiettili d’acqua cadono su di me: uno dopo l’altro, testardi, non si stancano di colpirmi. È una raffica continua. Sento freddo. I vestiti pesanti, completamente inzuppati di pioggia, aderiscono completamente al mio corpo: è una nuova pelle e io mi sento nudo. Con la mia nuova muta cerco di farmi strada strisciando lungo lo spazio attorno a me. A volte mi sembra di scontrarmi con una ruvida corazza. Altre volte le mie mani incontrano lame taglienti. I miei piedi sono trattenuti da dure corde. E cado e mi rialzo. E cado e mi rialzo.

Non è sempre buio. Per fortuna… i lampi nel cielo mi permettono di prendere coscienza di ciò che mi circonda. Brevi bagliori ma utili ad orientarmi. Piccole istantanee che mi guidano nell’impervio cammino. Qua e là si stagliano davanti a me alti tronchi. Faccio qualche passo e mi appoggio alla loro scabra corteccia. Porto lo sguardo verso l’alto: le loro chiome si agitano, infastidite dal pianto incessante del cielo. Guardo verso il basso: oscuri cespugli qua e là si frappongono ai miei timidi passi. Continuo lungo il mio percorso, incerto sul prosieguo. Ora mi fermo, ora mi appoggio, ora attendo… e dopo la luce il boato… e si torna nell’oscurità.

L’aria è permeata da diversi odori: ridenti fantasmi che lasciano la loro scia profumata. Fiuto il  ginepro. Tuttavia il mio naso è attratto da un odore molto più forte ma gradevole. Mi riesce difficile, all’inizio, riconoscerlo ma poi mi è ben chiaro: ginestra. Lo sento, lo sento bene. È qui, è intorno a me, è dentro di me. Pare si voglia prender gioco della guerra che il cielo ha mosso contro il mondo. Inspiro profondamente: è il mio nuovo ossigeno e la mia unica speranza. Ne sono saturo ma non mi basta. Come uno dei tanti alberi attorno a me, mi lascio scavare la mia corteccia affinché diventi  la mia nuova linfa. Man mano che cammino, se possibile, diventa sempre più intenso, come se volesse guidarmi. Dimentico dei tronchi e dei rovi, del tutto insensibile alla pioggia e al freddo, mi faccio strada e, con inaspettata scaltrezza, avanzo a rapidi passi, sicuro dell’approssimarsi di una meta la cui posizione ignoro ma che so esistere.

Non so quanta strada percorro ma, a un tratto, mi accorgo che il cielo si è placato. Solo le foglie e i rami continuano ad alleggerirsi del loro carico di acqua battendo a ritmo irregolare sul mio corpo. Quando ha smesso di piovere? Non lo so, non me ne sono accorto. Piano piano noto che l’oscurità diventa sempre meno fitta. Mi sembra di essere un pipistrello che si fa strada tra le ombre. E da lontano sento parlare i miei compagni: rane e cicale mi incoraggiano per l’ultimo tratto di via da percorrere. Proseguo lento, non per paura, ma per l’emozione. Sento di essere ormai vicino. Alla mia destra gli alberi, avvolti da un tiepido manto di luce che prende sempre più coraggio, sembrano essere immersi in un sonno più tranquillo dei loro fratelli alla mia sinistra. Vado avanti. L’odore di ginestra si fa sempre più forte e dolce al tempo stesso.


Giungo in una radura e, in mezzo, ci sei tu, Ermione. Le tue chiome auliscono di ginestra. Vi affondo dentro tutto me stesso: mi sembra di precipitare ma la cosa non mi spaventa. Non ho più paura, non temo più nulla se non di perdere quel profumo. Precipito e non mi schianto. Precipito e non mi basta mai, o Ermione…

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