Tratto da "La pioggia nel pineto" di Gabriele D'Annunzio
È
buio. Non si vede niente e intorno a me c’è la guerra. Il cielo ruggisce come
se dovesse rovesciare il mondo intero nell’abisso. Proiettili d’acqua cadono su
di me: uno dopo l’altro, testardi, non si stancano di colpirmi. È una raffica
continua. Sento freddo. I vestiti pesanti, completamente inzuppati di pioggia,
aderiscono completamente al mio corpo: è una nuova pelle e io mi sento nudo.
Con la mia nuova muta cerco di farmi strada strisciando lungo lo spazio attorno
a me. A volte mi sembra di scontrarmi con una ruvida corazza. Altre volte le
mie mani incontrano lame taglienti. I miei piedi sono trattenuti da dure corde.
E cado e mi rialzo. E cado e mi rialzo.
Non
è sempre buio. Per fortuna… i lampi nel cielo mi permettono di prendere
coscienza di ciò che mi circonda. Brevi bagliori ma utili ad orientarmi.
Piccole istantanee che mi guidano nell’impervio cammino. Qua e là si stagliano
davanti a me alti tronchi. Faccio qualche passo e mi appoggio alla loro scabra
corteccia. Porto lo sguardo verso l’alto: le loro chiome si agitano,
infastidite dal pianto incessante del cielo. Guardo verso il basso: oscuri
cespugli qua e là si frappongono ai miei timidi passi. Continuo lungo il mio
percorso, incerto sul prosieguo. Ora mi fermo, ora mi appoggio, ora attendo… e
dopo la luce il boato… e si torna nell’oscurità.
L’aria
è permeata da diversi odori: ridenti fantasmi che lasciano la loro scia
profumata. Fiuto il ginepro. Tuttavia il
mio naso è attratto da un odore molto più forte ma gradevole. Mi riesce
difficile, all’inizio, riconoscerlo ma poi mi è ben chiaro: ginestra. Lo sento,
lo sento bene. È qui, è intorno a me, è dentro di me. Pare si voglia prender
gioco della guerra che il cielo ha mosso contro il mondo. Inspiro
profondamente: è il mio nuovo ossigeno e la mia unica speranza. Ne sono saturo
ma non mi basta. Come uno dei tanti alberi attorno a me, mi lascio scavare la
mia corteccia affinché diventi la mia
nuova linfa. Man mano che cammino, se possibile, diventa sempre più intenso,
come se volesse guidarmi. Dimentico dei tronchi e dei rovi, del tutto
insensibile alla pioggia e al freddo, mi faccio strada e, con inaspettata
scaltrezza, avanzo a rapidi passi, sicuro dell’approssimarsi di una meta la cui
posizione ignoro ma che so esistere.
Non
so quanta strada percorro ma, a un tratto, mi accorgo che il cielo si è
placato. Solo le foglie e i rami continuano ad alleggerirsi del loro carico di
acqua battendo a ritmo irregolare sul mio corpo. Quando ha smesso di piovere?
Non lo so, non me ne sono accorto. Piano piano noto che l’oscurità diventa
sempre meno fitta. Mi sembra di essere un pipistrello che si fa strada tra le
ombre. E da lontano sento parlare i miei compagni: rane e cicale mi
incoraggiano per l’ultimo tratto di via da percorrere. Proseguo lento, non per paura,
ma per l’emozione. Sento di essere ormai vicino. Alla mia destra gli alberi,
avvolti da un tiepido manto di luce che prende sempre più coraggio, sembrano
essere immersi in un sonno più tranquillo dei loro fratelli alla mia sinistra.
Vado avanti. L’odore di ginestra si fa sempre più forte e dolce al tempo
stesso.
Giungo
in una radura e, in mezzo, ci sei tu, Ermione. Le tue chiome auliscono di
ginestra. Vi affondo dentro tutto me stesso: mi sembra di precipitare ma la
cosa non mi spaventa. Non ho più paura, non temo più nulla se non di perdere
quel profumo. Precipito e non mi schianto. Precipito e non mi basta mai, o
Ermione…
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