venerdì 1 luglio 2016

*** RACCONTO N. 21: IL VOLO DELL'ALBATROS ***




Racconto tratto dalla poesia "L'albatros" di Charles Baudelaire


È una razza particolare quella di noi poeti. Quando viene pronunciato il nome del nostro capostipite, Omero, un alone di leggenda sembra accompagnare quelle cinque lettere, le labbra si fanno tremanti e il volume della voce si abbassa leggermente quasi ad ossequio del sommo poeta. Tale fenomeno è apprezzabile anche per tanti altri… penso a Virgilio, a Dante, all’Ariosto e così via… Sono loro i sommi: poeti, filosofi e maestri, giocolieri delle parole e scrutatori della realtà. Sono loro i vati, cui va tutta la nostra gratitudine e riverenza.
Grazie agli insegnamenti di questi e tanti altri simili personaggi, abbiamo modo quotidianamente di studiare il mondo e rappresentarlo con le parole. Loro ci hanno insegnato a volare, a librarci da terra per osservare la realtà: da lì in alto, come degli albatros, vediamo tutto (o pensiamo di veder tutto!) e siamo in grado di affidare all’inchiostro le nostre sensazioni. Forse noi poeti moderni non ci illudiamo di avere chissà quale titolo, non ci illudiamo di esser ritenuti e definiti “maestri”, tuttavia non ci stanchiamo mai di volare.

Ancora, il nostro volo è capace di proiettarci ben oltre la realtà. La nostra mente è continuamente al lavoro. Siamo in una stanza, stiamo sorseggiando del tè con degli amici ma la nostra mente è già volata fuori dalla finestra attirata da questo o da quel particolare, da questa o quella parola. Così quella ceramica cinese della nobildonna che ci ospita genera mille pensieri sulla provenienza di quel vaso e la nostra mente è già in Cina e scorge attorno a sé soltanto occhi a mandorla. Un signore piange la prematura morte di suo figlio e, oltre a provare solidarietà e un gran desiderio di dargli conforto, non si può evitare di soffermarsi a riflettere sull’eterno alternarsi di vita e morte.

Osserviamo il mondo da una prospettiva privilegiata ma, spesso, questo privilegio costituisce una maledizione. Molti sembrano non riservare più il rispetto che ci compete, molti ci ridicolizzano, ci vedono come “diversi”. A volte abbiamo la gobba, seguiamo mode stravaganti nel vestire, beviamo solo latte o assumiamo sostanze dall’origine oscura. Questo ci rende “strani” agli occhi degli altri che proprio non riescono a capire la nostra sensibilità, la nostra costante osservazione e le supposizioni che ne derivano, le nostre abitudini che sono sinonimo della libertà di determinare la nostra vita alla ricerca di un piacere che altrimenti non troveremmo affatto. In fin dei conti, vogliamo essere felici come ogni uomo desidera su questo pianeta.


Non è, quindi, un caso che preferiamo farci da parte e librarci in un volo solitario che segue le vie della fantasia. Lì creiamo il nostro mondo, lì disegniamo milioni di mondi, incontriamo chi vogliamo, amiamo e siamo amati senza problemi. Gli altri sorridano pure di fronte alle nostre “stranezze”! Noi siamo albatros e dobbiamo necessariamente percorrere le nostre rotte aeree. Questa è, allo stesso tempo, la benedizione e la maledizione del poeta: straniero in patria e scarto della società, nonché viaggiatore libero di raggiungere qualsiasi mondo tra quelli possibili.

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