Tratto da "Pace non trovo e non ho da far guerra" di Francesco Petrarca (la scultura nell'immagine sottostante è "Eros che incorda l'arco", copia romana conservata nei Musei Capitolini di un originale greco di Lisippo)
Quando
gli antichi parlavano del dio Eros che svolazzava di qua e di là alla ricerca
di bersagli per il suo arco non erano tanto lontani dalla realtà. In maniera
del tutto imprevista, a seconda di quale sia la volontà del dio (ammesso che si
possa parlare di un dio), ti ritrovi con una freccia nel cuore… qualora questa
freccia fosse vera, potremmo solo immaginare il dolore che causerebbe. Eppure,
nonostante io non possa toccarla e afferrarla, sento comunque la sua punta
aguzza che fa male, molto male…
Ma
perché, se mi trovo a soffrire così, non riesco a prendermela con chi rappresenta
la causa del mio dolore? Semplicemente perché sono innamorato di quella
persona. Sento di essere in guerra ma non so contro chi o cosa sto combattendo.
Sento di essere in guerra ma non ho le armi o i mezzi per affrontarla. Questo è
l’amore… soffrire e sorridere, sperare e sprofondare… ora questo pensiero mi dà
sollievo, ora quest’altro mi rattrista… ora la delusione mi trascina verso il
baratro, ora l’immaginazione mi eleva fino alle stelle…
È
il controsenso dell’amore: la gioia e il dolore hanno pari peso sui piatti
della bilancia. In certi momenti vorrei annullarmi, addormentarmi e dimenticare
tutta questa mole di sentimenti contrastanti. Poi mi faccio forza, quasi sicuro
di poter riuscire nel mio intento. A volte voglio liberarmi da questi vincoli e
riprendere la vita di sempre ma, se mi fermo a pensare, mi rendo conto che
senza quei vincoli starei peggio di ora. Aborrisco la vita ma non riesco a
inseguire la morte.
Pare
che lo stesso Eros si diverta a torturarmi: è una continua tortura che non
conosce fine. Un po’ come Prometeo incatenato alla rupe e costretto al
quotidiano attacco dell’aquila che non cessa mai di cibarsi del suo fegato che
ricresce di notte. La mia condizione non è tanto dissimile. Di giorno soffro e
sono lacerato dal desiderio, di notte i sogni mi allietano e mi danno piacere.
Capisco, quindi, cosa intendesse veramente il veronese Catullo quando diceva «Odi et amo»! Neanche lui sapeva come
questo potesse accadere ma, continuando ad amare la sua Lesbia, se ne struggeva
arrivando fin quasi ad odiarla.
Parlare
di odio sarebbe troppo, mia Laura. Eppure, se proprio il mio desiderio non è
destinato ad esser soddisfatto, preferirei esser dimenticato da Eros, dimenticare
te e riappropriarmi della mia vita. Uscirei, così, da questa ambiguità, da
questa doppia esistenza che mi eleva e mi abbassa al tempo stesso ai sentimenti
più puri e alle sofferenze più grandi. Ma Eros è un dio testardo e ancora non
vuole saperne di lasciarmi andare. Continuerò, dunque, a dannarmi per te con la
speranza che il dio voglia (al più presto) porre fine a questa cosa legandoci
l’uno all’altra.
Nessun commento:
Posta un commento