sabato 12 settembre 2015

*** RACCONTO N. 13: IL PORTIERE ***



Racconto tratto da "Goal" di Umberto Saba (in foto: Gianluigi Buffon, portiere della Nazionale italiana)

Un tempo vi erano le arene in cui i gladiatori si fronteggiavano in duelli all’ultimo sangue: la folla sembrava essere assetata di sangue e poco le importava che lì sulla sabbia si venisse sventrati, mutilati, trucidati, uccisi… in fin dei conti erano i criminali a combattere. Poi sono giunte le giostre dei cavalieri: forse un po’ troppo rapide e monotone ma tali da poter fare di un cavaliere una leggenda. Quanto più sbalzava i suoi avversari da cavallo, tanto più il suo nome veniva cantato e celebrato al punto tale da vedersi dedicati dei poemi che esaltavano il suo coraggio e la sua abilità con la spada.

Oggi, fortunatamente, la maggior parte della gente si appaga di spettacoli più pacifici! E c’è un motivo se non ho richiamato alla memoria il grande passato dell’atletica e dei primi sport perché io, da calciatore, considero una partita di calcio una vera e propria battaglia! Il campionato o i tornei che disputiamo per vincere una coppa sono delle guerre: più vinci le singole battaglie, più hai possibilità di raggiungere il tuo obiettivo. A bordo campo c’è il nostro generale, in mezzo a noi il capitano contrassegnato con la fascia, sulle ali i nostri più bravi cavalieri, nelle retrovie degli alti e solidi fanti, al centro dei vigorosi arcieri, in avanguardia i nostri agili cavalieri leggeri.
Ebbene sì, la partita di calcio è una battaglia… e io, a volte, ho il privilegio di osservarla e godermela da un punto di vista molto particolare. Sono un portiere e, quando riusciamo a giocare una buona partita, non ho molto da lavorare: pertanto, mi capita spesso di osservare dalla mia porta ciò che accade. Per carità, non mi distraggo! Però osservo… vedo il mister sgolarsi, vedo l’attaccante che si lamenta del cross sbagliato, vedo l’altro attaccante che con umiltà ringrazia l’ala per la buona opportunità che ha avuto ma non ha saputo concretizzare.

Ormai le conosco tutte, le so a memoria, le varie emozioni… tensione, rabbia, gioia, godimento, nervosismo, adrenalina… un concentrato di sensazioni senza mettere a rischio la propria vita! Il tutto per il divertimento nostro, degli investitori e, soprattutto, del pubblico! Il pubblico! A lui va attribuita parte della responsabilità del risultato… con i suoi boati, i suoi cori, i suoi fischi, i suoi applausi… e quando fa silenzio, quanto è eloquente! In quel momento c’è la consapevolezza che quanto sta per accadere di lì a qualche secondo ha il potere di cambiare l’esistenza stessa: di lì a poco tutti piangeranno, chi per la gioia, chi per l’amarezza!

È il momento dei calci di rigore, così cari a noi portieri… non ne ho parati molti nella mia carriera ma quel minuto che racchiude la decisione dell’arbitro, le proteste, il fischio, la rincorsa, il tiro, la meditazione, il tuffo… è indescrivibile! Da latitante in una partita, ti trasformi nel possibile salvatore! La sorte del match è tutta nei tuoi guanti! Dove mi butto? Tirerà a destra o a sinistra? Rimango al centro? Quegli undici metri cambiano il modo di giocare e combattere di undici uomini!


Se pari il rigore, sei un eroe… se non lo pari, nessuno ti rimprovererà ma dovrai sostenere il peso di una possibile sconfitta o della mancata opportunità di far punti e avanzare in classifica. Chi segna (su rigore o meno), è poco meno di un dio! I compagni lo abbracciano, lo baciano, lo strattonano… in quel momento non c’è gelosia nei suoi confronti ma solo gratitudine perché la squadra va avanti grazie all’impresa compiuta da quell’elemento. La squadra è come una macchina: le varie componenti devono cooperare quanto più in armonia per ottenere il risultato migliore. Non esiste il singolo, esiste solo il gruppo! E, lo stesso portiere, per quanto può restare fermo per minuti a guardare la sua squadra creare occasioni, anche se restasse fermo per una partita intera, è parte integrante della squadra perché ogni giocatore sa che, nel momento del bisogno, il portiere potrà rivelarsi come l’uomo che fa la differenza in quella che è una “pacifica battaglia”.

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