
Racconto tratto da "Lo vostro bel sauto e 'l gentil sguardo" di Guido Guinizzelli
Il dipinto dal titolo "Dante e Beatrice" è di Henry Holiday
Stavo
passeggiando per le stradine della mia Bologna diretto alla mia dimora. Avevo
da poco incontrato frate Adelmo che mi ha promesso al più presto della nuova
pergamena. Ero, dunque, diretto alla mia casa, immerso tra mille pensieri,
quando l’ho vista… indossava un lungo vestito verdone che, facendo intravedere
soltanto il collo, lasciava immaginare le sue forme... I suoi capelli color
castano chiaro che si adagiavano sulle sue spalle… gli occhi in cui si
rifletteva la luce del sole alto a mezzogiorno…
Non
era la prima volta che la incontravo poiché la conosco bene. È la figlia di un
ricco mercante di stoffe, amico di mio padre. Non mi è mancata occasione di
vederla in passato, specialmente quando accompagnavo mio padre a far visita al
suo. Devo, però, ammettere che, soltanto da qualche mese, quando l’ho rincontrata
a distanza di anni, difficilmente il suo volto riesce ad abbandonare la mia
mente. Pensarla mi è divenuto ormai vitale, ella ispira le mie rime. Ed ora,
seduto al mio tavolino, sono preso dal folle bisogno di affidare al calamo
l’episodio di questa mattina: ancora una volta parlerò di lei, ancora una volta
dovrò fare in modo che sia il mio cuore a esprimersi e a svuotare tutto.
Personalmente
non mi è mai capitato di ritrovarmi una lama puntata contro ma, dalle storie
che si raccontano nelle taverne e, talvolta, nei palazzi dei nobili, pare che
il malcapitato, di fronte alla punta aguzza di una spada o di un pugnale,
difficilmente riesca a mantenere il controllo di sé e non è raro che sia
incapace di proferir parola se non preghiere poco virili che invocano la pietà
e la clemenza di chi sta per affondare la lama nelle sue carni. Fortunatamente
mai, dicevo, mi è capitato un episodio simile ma ciò che è accaduto questa
mattina ritengo sia di gran lunga peggiore.
Passeggiava
tranquillamente dialogando e ridacchiando con due sue amiche e, alla mia vista,
non ha fatto altro che sorridermi e salutarmi. «Buongiorno, Messer Guido». Tre
parole e un sorriso, nulla di più. Cosa sono in confronto al duro acciaio?
Niente, mi direste voi… eppure, ho sentito qualcosa più forte di una lama
penetrarmi le viscere e giungere fino al cuore, come un dardo scoccato da uno
di quegli imponenti archi inglesi… Ma chiunque venga colpito al cuore da una
freccia, cade immediatamente a terra senza vita. Io, invece, continuo a vivere
e a sentir dolore!
È
durato un attimo. Mi è passata davanti e mi ha salutato. Credo di non aver
avuto la gentile cortesia di rispondere al suo saluto: sono rimasto lì fermo a
vederla passare davanti a me, fermo come una statua d’ottone, incapace di
manifestare alcun segno di vita. Di duro ottone si è fatto il mio corpo quanto
duro era il colpo che il mio cuore ha subito, i cui effetti ancora si fanno
sentire. Non so come andrà a finire questa storia, non so se reagirò mai a
simili incontri, se avrò la forza e il coraggio anche solo di rispondere al suo
saluto. So soltanto che, ancora una volta, dovrò rifugiarmi nella dolcezza
delle rime per poter trovare un minimo di sollievo. Ma possono i versi
sciogliere l’ottone?